Gli operatori che lavorano nelle strutture sanitarie devono essere consapevoli delle possibili situazioni a rischio che possono incontrare.
Una struttura ospedaliera di per sé rappresenta un’area dalla gestione complessa, anche considerando tematiche al di fuori di quello che è il suo ‘core business’, cioè la cura delle patologia di cui i pazienti soffrono. In un ospedale, ad esempio, troviamo zone di alto traffico e zone protette, aree a diversi gradi di rischio per il diffondersi di malattie, servizi di manutenzione e pulizia, di ristorazione… tutti ambienti che hanno caratteristiche e disposizioni peculiari. Inoltre, il vai e vieni di personale (esterno e interno), di visitatori - che consideriamo ‘sani’, ma che potenzialmente possono essere portatori di numerosi germi dall’ambiente esterno in ambienti in cui si trovano persone con difese immunitarie ridotte, o rese più fragili dalla malattia – accresce la possibilità di contaminazione batterica. Ed è quindi più che mai richiesto un alto livello di igiene e di pulizia (e, nelle aree a rischio, di sanificazione e disinfezione). La professionalità che viene chiesta a qualsiasi operatore del cleaning si accentua in questo ‘microcosmo’ in cui le azioni di ognuno sono strettamente legate a quelle degli altri e in cui ogni azione incauta o distratta può portare a conseguenze più gravi di ciò che accadrebbe in altri ambienti. Dunque, chi si occupa di pulizia e di sanificazione nel settore sanitario – dall’organizzazione del lavoro all’esecuzione materiale dello stesso – deve avere ben chiara la situazione, i rischi che comporta, la necessità di seguire una procedura ben definita e ottimizzata. Molti ospedali, oramai, affidano questo servizio in outsourcing, sia per concentrare i propri sforzi in ambito strettamente clinico, sia perché vi sono imprese specializzate in questo comparto in grado di garantire la qualità del lavoro svolto, la professionalità e la gestione sia dei tempi, sia dei rischi.
AL LAVORO IN MANIERA RESPONSABILE
Consideriamo brevemente come lo staff di pulizia deve affrontare sia il proprio lavoro, sia l’esposizione ai diversi rischi e quindi quali sono le procedure consigliabili, secondo le indicazioni dell’Osha, Occupational Safety & Health Administration (Dipartimento del lavoro USA), che le definisce in modo chiaro e preciso. Infatti, un ospedale è un luogo in cui la diffusione di patologie può trovare un numero maggiore di vie di accesso, anche considerando l’assenza di contatto diretto con pazienti. Per esempio, la contaminazione che proviene dall’ambiente può derivare dal contatto con il sangue oppure con altri materiali potenzialmente infettanti - definiti OPIM (Other Potentially Infectious Materials) - attraverso ambienti di lavoro contaminati. L’Osha ha predisposto il ‘Bloodborne Pathogens Standard’, in cui sono specificati i significati dei termini a cui si fa riferimento e, in dettaglio, quali sono le procedure da seguire in ogni particolare ambiente di lavoro.
COSA DEVONO FARE GLI OPERATORI
Innanzitutto gli addetti alle pulizie devono definire (e poi implementare) su un’appropriata scheda le modalità di la pulizia e i metodi di decontaminazione. La scheda deve basarsi sulla localizzazione del lavoro all’interno della struttura; sul tipo di superfici da pulire; sul tipo di sporco presente e sulle attività o le procedure da eseguire nella zona di pertinenza. Un evento che può presentarsi con frequenza è il contatto – diretto oppure attraverso diversi materiali – con sangue infetto. E non è certo un rischio da poco. Il Centro USA per il controllo e la prevenzione delle malattia (CDC), per esempio, ha dichiarato che il virus dell’epatite B può sopravvivere almeno una settimana nel sangue secco sulle superfici ambientali o su aghi e strumenti contaminati. Il rischio è rappresentato allora dal fatto che gli addetti semalle pulizie siano esposti al sangue o agli altri materiali potenzialmente contaminanti, se non utilizzano gli appropriati disinfettanti (o quelli approvati). Ma chi determina quali disinfettanti sono appropriati? Negli Stati Uniti si fa riferimento all’Epa (US Environmental Protection Agency), che sovrintende la registrazione dei prodotti antibatterici (in Italia è il ministero della Salute con i P.M.C. presidi medico chirurgici), un elenco mantenuto aggiornato dall’Office of Pesticide programs che provvede a fornire le più recenti informazioni disponibili dall’EPA sugli antibatterici registrati. Quali disinfettanti raccomanda l’Osha? L’organizzazione sanitaria richiede che le superfici di lavoro siano pulite con un ‘disinfettante appropriato’: tra questi, l’EPA include una soluzione diluita di candeggina e prodotti antibatterici registrati, come i prodotti contro il bacillo della Tbc, i prodotti in grado di garantire la sterilizzazione, i prodotti registrati contro i virus dell’HIV e dell’epatite B (HBV). Per esempio, soluzioni fresche di candeggina diluita preparate ogni 24 ore sono considerate adeguate per la disinfezione delle superfici ambientali e per la decontaminazione dei luoghi. In genere, per la candeggina, si considera il tempo di contatto necessario perché il prodotto svolga la sua azione efficacemente come il tempo che impiega il prodotto per asciugare all’aria (esistono documenti dettagliati che approfondiscono ogni singola tematica).
LE PROCEDURE DA SEGUIRE
In caso di esposizione dell’operatore a sangue o a materiali infetti, cosa si deve fare? Tutte le attrezzature, gli ambienti e e superfici di lavoro devono essere pulite e decontaminate dopo il contatto con sangue o altri materiali potenzialmente infettivi; se alcune attrezzature sono state contaminate in maniera grossolana, devono essere pulite con sapone e soluzione acquosa prima di effettuare la decontaminazione, poiché alcuni prodotti antibatterici non sono efficaci in presenza di sangue, che interferisce nel processo di sterilizzazione. I dispositivi di rivestimento – come teli di plastica o fogli di alluminio – devono essere rimossi e sostituiti il più presto possibile, quando si presentano apertamente contaminati (fatto che può accadere durante gli spostamenti delle persone o dei materiali). I contenitori riutilizzabili – come bidoni, secchi, barattoli, e simili – adibiti a un riuso, che hanno una ragionevole probabilità di diventare contaminati da sangue o altri materiali infettanti, dovrebbero essere ispezionati e decontaminati su base regolarmente programmata, e puliti e decontaminati immediatamente appena si nota una contaminazione visibile. In caso di presenza di materiali di vetro rotti, che potrebbero essere contaminati, questi devono essere spostati con molta precauzione: non devono essere raccolti direttamente con le mani, ma usando strumenti come una spugna, panni per la polvere oppure pinze. Inoltre, si deve prendere in considerazione anche il caso di strumenti e apparecchiature mediche che apparentemente sembrano prive di rischi, ‘pulite’: molte strutture sanitarie affittano apparecchiature mediche o dispositivi da terzi, e, in questo caso, devono essere ben consapevoli che questi dispositivi possono non essere stati adeguatamente puliti, disinfettati e/o sterilizzati prima di essere consegnati.
ALTRI TIPI DI RISCHIO
Altro fattore di rischio potenziale per la sicurezza dell’operatore delle pulizie riguarda il tema ‘lavanderia’: in questo caso, il rischio è rappresentato dall’esposizione al sangue e ad altri agenti di potenzialmente infettivi dalla manipolazione della biancheria nei locali di servizio. Alcune strutture consentono agli addetti di risciacquare la biancheria contaminata - (da sangue o altro) o che possa contenere oggetti appuntiti - in locali ‘sporchi’, invece di evitare questo passaggio e semplicemente inserire la biancheria in sacchi o contenitori e quindi trasportarla direttamente in lavanderia. In questi casi, qual è la procedura corretta? Si deve mettere in e spostare la biancheria contaminata, muovendola il meno possibile, nella posizione in cui si trova. La biancheria contaminata non deve essere ordinata o risciacquata nel luogo di utilizzo, e deve essere trasportata alla lavanderia per la decontaminazione in sacchetti o contenitori etichettati o con codice colore. Usare le dovute precauzioni nella gestione della biancheria sporca (etichettatura alternativa o codice colore) è sufficiente: è necessario però che tutti gli addetti siano a conoscenza della procedura e riconoscano quindi i contenitori. Un altro modo corretto di gestire il rischio consiste nel collocare la biancheria in sacchi che possono essere messi direttamente nelle lavatrici, senza dovere scaricare o rimuovere la biancheria contaminata. Non bisogna, inoltre, dimenticare gli stress fisici che si possono verificare per il lavaggio e il trasporto della biancheria bagnata, che risulta molto pesante: per questo, viene raccomandato l’uso dispositivi meccanici per sollevare e trasferire i materiali. Per evitare poi il rischio di ferite da oggetti (come siringhe) impropriamente lasciati in mezzo alla biancheria da trattare, non si devono tenere i sacchi che contengono il materiale contaminato vicino al corpo o schiacciarli durante il trasporto. Come è intuitivo, quelli su cui ci siamo soffermati rappresentano solamente una parte dei rischi a cui è possibile sia esposto un addetto alle pulizie professionali in una struttura sanitaria. Considerare ogni azione e ogni tipo di intervento di pulizia e sanificazione (ed eventuale disinfezione e sterilizzazione) nella sua globalità, prendendo sempre in esame anche gli eventi fortuiti o meno che possono accadere, significa operare in modo responsabile e professionale. E sappiamo bene come, per raggiungere un alto grado di consapevolezza e di qualità del servizio offerto, sia necessario provvedere a un’adeguata, puntuale e costante formazione del personale. Nulla di nuovo ma, nella realtà, tutto è più difficile.