La revisione della spesa pubblica ha colpito pesantemente la Sanità, interessando anche i servizi di pulizia e mettendo a rischio la qualità del servizio erogato.
Ma, secondo il Direttore Qualità e Controllo di Markas Service, l’impresa non è impossibile.Spending review: il mantra di questo lungo periodo di recessione economica che non pare volere allentare la morsa sul nostro Paese. E allora, dal momento che i conti dello Stato sono in rosso profondo, si proclama a gran voce che occorre ridurre le spese. Verità sacrosanta, comprensibile a tutti, anche se, per rendere più “digeribile” la pillola si usa la lingua inglese, la lingua della globalizzazione, quasi a volere significare che il problema non è solo nostro, dell’Italia, ma investe tutti gli stati. Inoltre, il suono è quasi accattivante, tranquillizzante ed evoca più una rivisitazione, una redistribuzione delle risorse spendibili, nella direzione di una ottimizzazione che non può che creare consensi. Le Pubbliche Amministrazioni, che utilizzano i nostri soldi, devono diventare virtuose, devono dare il buon esempio, dimostrando che si può e si deve attuare una politica di spesa accorta e contenuta. Ma, quando dalla teoria, condivisibile, si passa alla pratica e si entra nel merito di come si debba concretamente realizzare la spending review, allora cominciano a suonare i campanelli d’allarme. È quello che sta succedendo in ambito sanitario, alla luce del Decreto Legislativo n. 95/2012 entrato in vigore nel luglio del 2012 (Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini) e convertito in legge nel dicembre dello stesso anno, in concomitanza con la Legge di stabilità 2013, la n.228 che reca le “Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato”. Nel D.L., l’articolo 15, co. 13, lett. a e b, recita alla lettera a che “gli importi e le connesse prestazioni relative a contratti in essere di appalto di servizi e di fornitura di beni e servizi, con esclusione degli acquisti di farmaci, stipulati da aziende ed enti del Servizio sanitario nazionale, sono ridotti del 5% a decorrere dalla data di entrata in vigore del presente decreto per tutta la durata dei contratti medesimi”; e alla lettera b che “Qualora sulla base dell’attività di rilevazione e sulla base delle analisi effettuate dalle Centrali Regionali per gli Acquisti emergano differenze significative dei prezzi unitari (per differenze significative dei prezzi si intendono differenze superiori al 20% rispetto al prezzo di riferimento), le Aziende Sanitarie sono tenute a proporre ai fornitori una rinegoziazione dei contratti che abbia l’effetto di ricondurre i prezzi unitari di fornitura ai prezzi di riferimento individuati, e senza che ci comporti modifica della durata del contratto. In caso di mancato accordo, entro 30 giorni dalla trasmissione della proposta, … le Aziende Sanitarie hanno il diritto di recedere dal contratto senza alcun onere a carico delle stesse”. Come risulta evidente, la Spending Review ha colpito ancora una volta duramente la Sanità pubblica, e, ancora un volta, con tagli lineari, che non tengono conto di alcuna specificità. Ovviamente anche il servizio di pulizia è capitato sotto la scure del legislatore, con i problemi che ne conseguono e che sono stati dibattuti, lo scorso ottobre, a Milano, lo scorso ottobre, presso il Centro Congressi Humanitas, in un convegno sul tema “Pulizia e Sanificazione in Sanità”, realizzato dall’Istituto Internazionale di Ricerca per la Sanità Italiana, che ha cercato di capire come e se sia possibile migliorare la qualità garantendo la sostenibilità economica del Servizio, alla luce dei nuovi vincoli. Un ossimoro, almeno apparentemente, o, forse, una provocazione. Senz’altro una provocazione, invece, la domanda che ha posto, con fermezza, Andrea Tezzele, Direttore Qualità e Controllo di Markas Service, che nel suo intervento, a un certo punto, si è chiesto, e ha chiesto alla platea di addetti ai lavori: «La qualità è un lusso che non possiamo più permetterci? È un lusso o un diritto?». Tezzele ha posto, innanzitutto, alcuni punti fermi. Innanzitutto ha ricordato il ruolo e l’importanza del servizio di pulizia in ambito ospedaliero, che non si limita a incidere solo sulla qualità “alberghiera” delle prestazioni ospedaliere (rilievo più volte avanzato anche dall’ANMDO* – ndr), ma contribuisce al contenimento del rischio infettivo, estendendo i suoi benefici sulla qualità delle prestazioni ospedaliere, sul livello complessivo delle cure erogate, fornendo oltretutto un’immagine positiva dell’Azienda Ospedaliera. D’altra parte - ha ricordato Tezzele - anche il TAR della Puglia, con una sentenza della seconda sezione del tribunale di Lecce (n. 817 del 10.04.2013) ha precisato come i servizi di pulizia debbano essere iscritti nel catalogo dei servizi indispensabili o strettamente correlati al raggiungimento delle finalità istituzionali dell’ente ospedaliero. Quindi, anche la giurisprudenza amministrativa ha sancito che la pulizia degli ambienti, o meglio, la conformità degli stessi ai requisiti igienico-sanitari, non può ritenersi estranea alle finalità istituzionali dell’A.O e delle A.S.L. Eppure, oggi più che mai, questa qualità è seriamente compromessa, o per lo meno è a rischio grave, per una serie di fattori, di cui la Spending Review è solo l’ultimo in ordine cronologico, ma con la probabilità di rappresentare veramente il colpo di grazia. I primi duri ostacoli, da parte delle imprese che sulla qualità del servizio costruiscono i propri progetti ragionati, si incontrano già in fase di gara. I bandi delle Pubbliche Amministrazioni, infatti, sono strutturati secondo una ratio – quella delle formule prezzo - che, pur non puntando più formalmente sul massimo ribasso, in effetti però a fronte di una minima differenza di prezzo nell’offerta attribuisce un punteggio che conferisce vantaggi competitivi tali da non potere essere controbilanciati dal punteggio assegnato alla qualità. Se a questo handicap si aggiunge, in fase di gara, la mannaia della Spending Review, che colpisce senza discrezione, la domanda se la qualità sia un lusso non più sostenibile e non un diritto diventa più che legittima. Anche perché la revisione della spesa da parte degli enti pubblici è stata propangadata come un processo diretto a migliorare l’efficienza e l’efficacia della macchina statale nella gestione economica, attraverso la sistematica analisi e valutazione delle strutture organizzative, delle procedure, degli atti e dei risultati. Di fatto, essendo stata dettata dalla necessità di fare in fretta e subito, per risanare i conti delle P.A. e per dare risposte “virtuose” al malcontento che serpeggia da tempo, ha finito con l’essere, almeno in sanità, un elemento di turbativa, i cui risultati possono, sul medio termine, acuire quello stesso malcontento che si è voluto momentaneamente tacitare. Infatti, la revisione dei contratti in atto, se, da una parte, ha portato a riequilibrare alcune aggiudicazioni “esagerate”, dall’altro, però, ha creato grandi difficoltà, in quanto la linearità indiscriminata dei tagli non ha tenuto conto delle singole specificità regionali (non bisogna infatti dimenticare che la Sanità è in capo alle regioni), alcune delle quali, operando ulteriori tagli, non potranno più garantire un servizio adeguato. La Spending Review così concertata, infatti, interviene sui processi organizzativi delle aziende che erogano il servizio. Non si tratta, infatti, di diminuire solo il costo orario, si tratta di ridurre la frequenza degli interventi, di contrarre il personale, di non garantire il presidio igienico. Con conseguente, inevitabile, perdita di qualità, di aumentato rischio igienico, di caduta di immagine, di peggioramento della qualità percepita, di avvelenamento del clima organizzativo e sociale. Il gioco vale veramente la candela? La domanda è legittima, perché se è vero che in Italia la Sanità Pubblica incide in maniera considerevole sul PIL, è anche altrettanto vero che tra i 34 paesi dell’area OCSE, l’Italia è quello che spende meno in questo settore. Quindi, forse, non si tratta più di dovere spendere ancora meno, indiscriminatamente, ma di potere spendere meglio, il che porterebbe a reali economie, senza intaccare la qualità. Si può fare? Si può fare, ha risposto il dottore Tezzele, si possono conciliare le esigenze di Spending Review con le buone pratiche della Clinical Governance. La Clinical Governance, o Governo Clinico, consiste, secondo quanto definito dal Ministero della Salute, in un approccio integrato per l’ammodernamento del SSN che pone al centro della programmazione e gestione dei serivizi sanitari i bisogni dei cittadini e valorizza il ruolo e la responsabilità dei medici e degli altri operatori sanitari per la promozione della qualità. Il concetto di qualità è ancora una volta ribadito (si ricordi che anche la Spending Review insiste sull’invarianza dei servizi ai cittadini). Ma chi deve garantirla e come? Il Direttore Sanitario, che è garante della qualità delle prestazioni ospedaliere, secondo quanto disciplinato dall’Art. 2 del DPR 128/1969. Secondo questo decreto, la Direzione Sanitaria deve curare “l’organizzazione tecnico-sanitaria e il buon andamento igienico-sanitario dei servizi ospedalieri”. In pratica, l’Azienda Ospedaliera deve ottenere, o meglio garantire, la salute del cittadino perseguendo corretti risultati d’esercizio, che oggi sono inderogabili. Come conciliare queste esigenze? Attuando una politica di miglioramento continuo, afferma il direttore Qualità e Controllo di Markas, applicando, per esempio, il Ciclo Deming, un modello che promuove la cultura della qualità unita all’utilizzo ottimale delle risorse. Questo strumento parte dall’assunto che per il raggiungimento del massimo della qualità sia necessaria la costante interazione pianificazione (Plan), esecuzione del programma (Do), controllo (Check) e correttivo (Act). Il fulcro di questo processo, sostiene il dottor Tezzele, è nel controllo, assolutamente indispensabile per individuare, quindi eliminare, errori, sprechi, duplicazioni, che assorbono energie e risorse economiche che fanno levitare i costi, cioè la spesa nel suo complesso. Oggi due sono le figure di controllo che intervengono a vigilanza del procedimento e dell’esecuzione di interventi da realizzarsi con contratto unico. Sono il RUP (Responsabile Unico del Procedimento) e il DEC (Direttore dell’Esecuzione del Contratto), istituite dal Codice Contratti Pubblici e dal DPR n.207/2010. Il RUP vigila sulle fasi della progettazione, dell’affidamento e dell’esecuzione del contratto; il DEC deve provvedere al coordinamento, alla direzione e al controllo tecnico-contabile dell’esecuzione del contratto. Secondo Tezzele, si tratta di una forma di garanzia e di tutela che, apparentemente, agisce nell’interesse della stazione appaltante, ma che, in realtà, può rappresentare una efficace e seria modalità di affidamento e di controllo del servizio, in grado di conferire trasparenza e correttezza, non solo tra le aziende che operano in questo settore, ma anche verso l’utenza finale. Le responsabilità attribuite al DEC consentono una reale qualificazione del mercato, di cui il settore dei servizi in gestione appaltata sente, oggi più che mai, un enorme bisogno. Il DEC rappresenta un organismo di supervisione e di controllo, ed è proprio questa funzione che, a parere di Tezzele, se esercitata con rigore e competenza e con il supporto di regole ferree e chiare, può garantire trasparenza e correttezza, consentendo alle A.O. di spendere il giusto, di evitare errori e sprechi, quindi di attuare effettivi risparmi nel mantenimento della qualità del servizio. Può apparire paradossale, ma è proprio il controllo serio che costituisce il trait-d’union, il ponte percorribile tra Spending Review e Clinical Governance. * G. Finzi, U. Aparo, S. Cugini - Spending review e servizi di pulizia - L’Ospedale.