Ecosostenibilità, risparmio risorse, attenzione alla sicurezza dell’uomo e dell’ambiente.
Sono parole che sentiamo ora fin troppo spesso, si intrecciano, si sovrappongono, si aggrovigliano talvolta fino a formare matasse quasi inestricabili mentre occorre tirare fuori un filo conduttore, un filo d’Arianna che porti a tradurle in “vera” buona pratica: e questo sembra molto, molto difficile. Per parlare seriamente di “green” inteso come politica ambientale a largo raggio, penso sia necessario iniziare da ciò che fanno le pubbliche istituzioni, in termini di indicazioni, direttive, normativa. Perché solo quando vi sono ben precisi riferimenti – e non si lascia alla buona volontà e all’iniziativa del singolo – per trovare indicazioni da applicare, e, soprattutto, quando vi è la verifica e il controllo che ciò che è stato “dettato” per legge sia effettivamente applicato, si può parlare di un serio approccio al tema “ecosostenibilità”. Di legge, veramente, negli anni passati ce n’era già stata una (Il D.M. 8 maggio 2003) che stabiliva le norme: “affinché gli uffici pubblici e le società a prevalente capitale pubblico coprano il fabbisogno annuale di manufatti e beni con una quota di prodotti ottenuti da materiale riciclato nella misura non inferiore al 30% del fabbisogno medesimo”. Nella realtà si sa che molto è stato disatteso, tutto è rimasto sulla carta e la politica del minor prezzo è ancora risultata vincente. Qualcosa cambia – e in maniera sostanziale – con il D.M. 24 maggio 2012, che stabilisce i Criteri Ambientali Minimi (C.A.M.), che si preoccupa di fornire regole per definire meglio come le imprese possano rispettare l’ambiente. E nello specifico si occupa anche del rispetto dell’ambiente per chi svolge i servizi di pulizia. Definisce, cioè, i criteri “minimi” che un servizio di pulizia deve avere per essere in regola con la legge, e quindi operare nel rispetto dell’ambiente. Criteri minimi, appunto, senza i quali non è lecito, per legge, svolgere questo servizio.
I C.A.M. E IL MONDO DELLE PULIZIE
E, per la prima volta, nel definire la normativa sulla regolamentazione degli appalti verdi nelle Pubbliche Amministrazioni (Pan Gpp – Green Public Procurement) da inserire nei bandi di gara, ad Afidamp è stato riconosciuto il ruolo che le compete. Perché è l’associazione di riferimento per le tematiche del cleaning professionale. Infatti, come ci fa notare Matteo Marino, presidente di AfidampFAB (il ramo associativo che riunisce i costruttori di macchine, prodotti e attrezzature per la pulizia professionale): “Afidamp ha rivestito un ruolo fondamentale nella redazione della norma. Siamo riusciti a far considerare le problematiche tipiche dei prodotti specifici per settore professionale. Esistono altre norme che si occupano di definire caratteristiche ecologiche, che però, essendo nate per il settore della Grande Distribuzione, mal si adattano o addirittura non contemplano molti prodotti professionali. Il nostro apporto è stato proprio quello di sottolineare le caratteristiche dei formulati utilizzati in questo comparto. Siamo riusciti quindi a prendere in considerazione anche prodotti che altrimenti non sarebbero stati inseriti perché non contemplati dalle norme esistenti”. E, per Afidamp, un punto focale è rappresentato dal fatto che “la stessa norma oggi, contempla i formulati professionali più efficaci che le imprese possono utilizzare per eseguire le operazioni in maniera ottimale, in termini di velocità esecutiva, in termini di qualità di risultato e in termini di rispetto dell’ambiente” afferma Marino. Tuttavia, pur avendo fatto un bel passo avanti, la strada è ancora lunga. Secondo il presidente di AfidampFAB non è stato approfondito ancora bene il settore delle macchine e delle attrezzature. Ed è stato fatto solo qualche accenno relativamente ai consumi energetici delle macchine e, genericamente, ai risparmi (in termini energetici) che l’utilizzo delle macchine consente (e molto poco è stato detto per quanto riguarda le attrezzature). Sui formulati chimici, la norma dice molte cose ma c’è un rischio che dovrà essere considerato. Infatti: “La norma - oltre a definire i parametri ecologici in termini di componenti ammesse nei formulati - tende, giustamente, a premiare i più concentrati, che possono essere utilizzati a bassissimo dosaggio. Questo è corretto solo se, contestualmente, vengono anche definiti i minimi di concentrazione al di sotto dei quali non si può più definire una soluzione “detergente”. Esistono infatti dei limiti chimici reali, indipendenti dalle capacità formulative delle varie aziende, che non possono oggettivamente essere superati. Credo che non averlo considerato possa rappresentare un rischio nei termini in cui, per aggiudicarsi più punti, vi sarà la tentazione di dichiarare - nelle schede tecniche - concentrazioni d’uso irrealistiche. Su questo argomento il Comitato Chimici di Afidamp sta portando avanti uno studio per poter dare al mercato un’indicazione di massima al settore” sono le parole di Matteo Marino.
COME MIGLIORARE IL FUTURO
AfidampFAB ha cominciato un percorso impegnativo sulla strada della consapevolezza dell’importanza dell’impatto ambientale. L’istituzione del Green Clean Award è stato un passo, compiuto anni fa, in questa direzione, ma ora è necessario “attualizzare” l’impegno. Il rapporto con il ministero dell’Ambiente rappresenta la strada maestra che “dobbiamo cercare di percorrere, anche considerando il fatto che abbiamo trovato interlocutori attenti alle nostre esigenze e recettivi delle nostre indicazioni - dichiara Marino - Si tratta di una collaborazione che, insieme alle associazioni delle imprese, intendiamo coltivare perché solo se i vari attori del mercato si confrontano costruttivamente si possono produrre norme applicabili con successo e che diano risultati concreti. Tutto questo influenzerà ovviamente anche il Green Clean Award, che dovrà tenere in considerazione l’evoluzione normativa e avrà più strumenti per valutare meglio l’effettiva efficacia ecologica dei progetti da premiare”. Su questa via di ostacoli se ne presentano tanti per adottare una vera politica di sostenibilità ambientale, che nell’accezione comune significa anche affrontare costi maggiori. È proprio vero? Oppure è una distorsione del concetto? “Non è corretto pensare che rispettare l’ambiente significhi generalmente spendere di più. È vero però che se per rispettare l’ambiente le soluzioni da adottare sono più costose queste non verranno scelte, soprattutto oggi, in un momento in cui le note vicende economiche non spingono gli imprenditori a investire solo per il bene dell’ambiente”. Questo vuol dire affrontare il problema in modo più radicale, modificando l’approccio metodologico. Che è poi il punto di vista che è stato sostenuto e considerato nella norma C.A.M. Nella pratica si traduce nel dotarsi di strumenti efficaci, più economici e allo stesso tempo più ecologici: “è sufficiente utilizzare il meglio della tecnologia espressa dalle nostre aziende” come sostiene Marino. Questo significa acquistare prodotti più concentrati, macchine e attrezzature più robuste e durature nel tempo, tessuti più efficaci: concretamente, significa lavorare con maggior efficacia, più velocemente e rispettare l’ambiente. “Fino a quando ci sarà la rincorsa invece alle macchine più economiche (magari costruite in Paesi stranieri) o prodotti chimici contenenti sostanzialmente acqua, forse si potrà avere un risparmio nell’acquisto degli strumenti, ma allo stesso tempo risulterà molto più costoso dato il maggior lavoro necessario per eseguire le operazioni con lo stesso risultato, con un impatto ecologico decisamente peggiore”. Conclude il presidente di AfidampFAB. E non si può non essere d’accordo con lui.