Dal Forum Pulire lanciate le proposte per rilanciare il settore del cleaning professionale: ricerca, nuovo approccio al mercato, collaborazione con l’Università, condivisione di progetti, revisione dei processi
Nell’ambito del Forum Pulire, che si è svolto a Milano lo scorso marzo, per dibattere i problemi che gravano sulla filiera del cleaning italiano, con parole d’ordine importanti, come Razionalizzazione e Innovazione, Legalità e Sviluppo, il tema dell’innovazione è stato declinato nel corso di un workshop, che ha visto riuniti esperti del mondo accademico, industriale, imprenditoriale, dell’informazione, delle associazioni di categoria. Nello specifico, si è parlato di “Ricerca e sperimentazione per sviluppare competitività”. Proprio la competitività pare essere il tallone d’Achille del nostro sistema imprenditoriale. Le cause sono note e sono state date per scontate. Il workshop ha voluto indagare le possibili soluzioni, che scaturissero come proposte e come propositi dall’interno del particolare comparto, che, proprio per essere positivo e propositivo, ha voluto confrontarsi con soggetti diversi. Tutti i relatori hanno convenuto che, per ridare competitività all’industria italiana in generale e per uscire dalla crisi che grava ancora sull’Italia, occorre innovazione, parola che pare semplice, ma che presenta una serie di variabili che devono essere ben presenti per potere operare le scelte opportune.
CAMBIARE L’APPROCCIO AL MERCATO
Ha subito lanciato la sua provocazione Aldo Avosani, Consigliere Nazionale CNA (Confederazione Nazionale dell’Artigianato e della Piccola e Media Impresa), che ha affermato con convinzione che innovazione non può e non deve essere solo progettazione di nuovi prodotti, ma deve essere una nuova forma mentis, ossia deve tradursi, soprattutto per le imprese che erogano il servizio di cleaning, un nuovo approccio al mercato, specialmente in un periodo, come quello che sta vivendo da qualche anno il paese, in cui il mercato è diventato, via via, sempre più povero. Non c’è più spazio per una politica commerciale aggressiva, che si traduce, di fatto, in una guerra non tanto sulla qualità e sulle peculiarità del servizio, quanto su una massacrante rincorsa ad abbattere i prezzi, con rilanci che diventano pallottole nei confronti del concorrente/nemico. Oggi, chi è sopravvissuto a questa guerra, lo ha potuto fare perché si è spogliato delle vecchie dinamiche e si è posto in maniera diversa di fronte al mercato, lavorando sul concetto di miglioramento del pulito, quindi non “contro”, ma “con” e “per”. Il passo successivo deve essere il miglior rapporto con l’altro. Occorre, cioè, lavorare tutti insieme, uscendo dall’isolamento, chiedendo, per esempio, la collaborazione dell’Università, che supporti con l’attività di ricerca le strutture imprenditoriali.
FARE RETE
Ha concordato con questa analisi anche Toni D’Andrea, Amministratore Delegato di Afi damp Servizi, che ha evidenziato la criticità strutturale del sistema Italia, ossia quella che oggi è diventata una criticità, dopo essere stata per lungo tempo considerata la peculiarità che ha contribuito a rendere il nostro paese l’ottava potenza economica mondiale e la quarta in Europa. Il sistema Italia è formato da un elevato numero di mciroaziende, che oggi, vista la congiuntura economica e il mutato scenario dei mercati, non sono in grado di sostenere un vero e proprio processo di innovazione. Innovazione, infatti, presume ricerca, che è un’attività cara e in prima battuta improduttiva, almeno sul breve e medio periodo, per cui spesso diventa inaccessibile. L’unico modo, quindi, ha sostenuto D’Andrea, che le microimprese hanno per fare innovazione e rimanere competitive è quello di mettersi insieme, di creare piattaforme, di costruire progetti comuni, certamente interessando le Università. Chiamata in causa, l’Università ha risposto, per voce di Marco Perona, professore ordinario di Logistica Industriale e direttore scientifi co del Centro di Ricerca sul Supply Chai e Service Management presso l’Università degli Studi di Brescia. Il professor Parona, dopo aver spiegato che il concetto di innovazione può essere declinato in innumerevoli modalità, a seconda di quanto si vuole ottenere. Ma ci sono due caratteristiche chiave che devono connotare, imprescindibilmente, qualsiasi forma di innovazione. In primo luogo, qualsiasi tipo di innovazione dovrebbe migliorare l’esistente e creare valore che deve trasformarsi in valore economico. Concetto sintetizzato perfettamente da uno dei più grandi innovatori dellla storia, Steve Jobb, che aveva affermato: «La ricerca è un modo di trasformare quattrini in idee e l’innovazione è un modo di trasformare le idee in quattrini». La seconda caratteristica imprescindibile è stata defi nita con estrema chiarezza da un altro grande dell’industria mondiale, Henry Ford, che asserì con sicurezza che «non c’è vera innovazione se non è per tutti». Partendo da questi presupposti, il professor Perona, pur concordando che la dimensione delle aziende italiane può creare oggettivi problemi, ha affermato che tuttavia non è proprio questo elemento il nostro tallone d’Achille, in quanto rientriamo tranquillamente nella media europea. Il sistema italiano è apprezzabile nella fase di ricerca, sia a livello universitario, «per esempio il Centro Vega di Venezia (un Parco Scientifi co Tecnologico, network tra l’Università, i Centri di ricerca e il settore produttivo volto alla promozione e allo sviluppo di iniziative di ricerca scientifica per facilitare il trasferimento di conoscenze a favore della crescita tecnologica e della competitività delle imprese, che opera nei settori di punta dell’innovazione tecnologica: Nanotecnologie, ICT, Green Economy – ndr) o il CSMT di Brescia e altri, anche se non esiste un sistema vero e proprio che operi in un’ottica globale e dia copertura a tutto tondo »; sia grazie ad alcune strutture interne soprattutto alle grandi aziende, come il Centro Ricerche FIAT o il Kilometro Rosso di Bergamo, eccetera. Il sistema Italia è eccellente nella fase di implementazione, che dipende dall’abilità degli imprenditori nel muoversi sui mercati, ma è debole, e qui è il vero impasse, nella fase di ingegnerizzazione, la più complessa, costosa, impegnativa. Le tre fasi dovrebbero essere interconnesse, invece a un certo punto la catena si interrompe, e questa è la vera debolezza del sistema imprenditoriale italiano, l’incapacità di fare veramente sistema. Bisognerebbe prendere esempio dalla Germania, dove opera il Fraunhofer Institute, un organismo in cui lavorano decine di migliaia di persone, con terminali in tutte le più importanti città del Paese e con succursali estere, che fa scouting delle buone idee universitarie promuovendo una ricerca che possa essere applicata direttamente nelle aziende. Università, dunque, come luogo del sapere, industria come luogo del sapere applicato e soggetto che alimenti questo tipo di ricerca e il processo di innovazione: questa la best practice, calata nel settore del cleaning professionale, di cui si è fatta promotrice Copma, società cooperativa di servizi con sede a Ferrara, il cui Amministratore Delegato Mario Pinca ha confermato l’importanza di una stretta collaborazione per implementare nuove tecnologie. Da tre anni l’Università di Ferrara, l’Azienda Ospedaliera, produttori di materiali e prodotti, Copma, lavorano insieme a un progetto che ha portato all’implementazione di un innovativo sistema di pulizia, effi cace, sicuro, economico e “green”, realizzando nuove metodologie di sanifi cazione basate sul principio della competizione biologica, che utilizzano prodotti probiotici, contenenti una miscela di batteri non patogeni, che colonizzano l’ambiente, in competizione con i batteri potenzialmente patogeni, responsabili di infezioni ospedaliere. Pinca ha però sottolineato che, se è diffi cile fare innovazione per le aziende di produzione, lo è ancora di più per le imprese di servizi che,pur essendo dotate di tecnologie innovative, incontrano sulla loro strada innumerevoli ostacoli, a partire dalla concorrenza sleale di chi insegue il massimo ribasso nelle gare – prassi che diventa rischiosa soprattutto in ambito sanitario – e da chi non premia i comportamenti virtuosi – tanto è vero che il disciplinare di gara per l’appalto relativo ai servizi di pulizia e igiene ambientale realizzato dall’AVCP (Autorità per la Vigilanza sui Contratti Pubblici – ndr) non fa in alcun punto riferimento né a innovazione, né, tantomeno, all’igiene per quanto riguarda gli ambienti ospedalieri. Pinca ha poi sottolineato un altro ostacolo che rende diffi cile intraprendere il cammino dell’innovazione: il ritardo con cui le buone intenzioni si traducono in atti concreti. Il decreto del FARE del giugno 2013, che avrebbe dovuto rilanciare l’economia, prevedeva una defi scalizzazione del 50% per le aziende impegnate in ricerca, ma i decreti attuativi non sono ancora stati realizzati, e i tempi lunghi che intercorrono tra il dire e il fare rischiano di essere perniciosi, perché gli investimenti sono importanti e le aziende non possono sostenerli tutti da sole. Ma esiste anche una forma di innovazione che può non comportare massicci investimenti di capitale, ma agire su quel cambiamento, quella diversa forma mentis che Avosani aveva posto come condicio sine qua non per salvare il comparto e farlo evolvere come gli compete. Toni D’Andrea ha infatti sottolineato come, nello specifi co, una ulteriore debolezza del settore sia la percezione negativa che si ha del lavoro di pulizia, ancora oggi vissuto come figlio di un dio minore, quando è universalmente riconosciuto che la pulizia è un bene di prima necessità. Si tratta dello stesso paradosso per il quale aria e acqua, beni indiscutibilmente di primissima necessità,sono pessimamente gestiti, tanto da avere raggiunto, a livello mondiale, allarmanti soglie di inquinamento. Anche la pulizia subisce lo stesso trattamento: come valore è ai primi posti nella considerazione delle persone, ma chi la garantisce è ignorato o svilito proprio perché si considera non nobile. Per D’Andrea occorrerebbe ribaltare questa concezione, per riposizionare il ruolo di chi svolge le pulizie, per esempio immaginando che le imprese di pulizia siano piccole fabbriche che producono pulito. Quindi, occorre innovare il modo di fare comunicazione. Come è successo ad aziende di ben altra visibilità, quali Caterpillar e Black&Decker, ha spiegato Alessio Jacona, giornalista esperto di comunicazione, che hanno saputo sfruttare al meglio gli strumenti informatici che apparentemente nulla hanno a che fare con il core business industriale, ma che, in realtà, se ben utilizzati, si rivelano potentissimi strumenti di marketing, permettendo di veicolare, in maniera rapida e a livello globale, un’immagine diversa, concreta, realistica. Internet, Twitter, FaceBook e altre piattaforme social network sono mezzi che aprono veramente nuove prospettive. Jacona ha quindi suggerito la dimensione del racconto, per creare visibilità, per creare consenso. Raccontare la storia del pulito è, in fondo, raccontare la storia di tutti noi.