Un problema purtroppo ancora attuale

Ma che cosa sono le ICA, le infezioni correlate all’assistenza, che da anni sono al centro del dibattito igienico sanitario? Sono le infezioni che si acquisiscono in ospedale o in altri ambiti assistenziali (struttura residenziale di lungodegenza, ambulatorio, centro di dialisi, day-surgery, domicilio), ossia infezioni che non erano presenti (cioè non erano clinicamente manifeste, né erano in incubazione all’ingresso del paziente nell’ambiente di ricovero o di assistenza, e che insorgono durante il ricovero e la degenza o, più raramente, dopo le dimissioni del paziente.Secondo l’European Centre for Disease Prevention and Control (ECDC) in Europa sono circa 4,1 milioni i pazienti che contraggono ogni anno un’infezione correlata all’assistenza, circa il 7% dei ricoveri ospedalieri. Il numero di decessi, come conseguenza diretta di queste infezioni, è di almeno 37mila l’anno, il che comporta un significativo incremento della spesa, non solo sanitaria, stimato in circa 1,5 miliardi di euro l’anno.Le infezioni più frequenti sono le infezioni del tratto urinario, seguite da infezioni del tratto respiratorio, infezioni dopo l’intervento chirurgico, infezioni del sangue, e altri (tra cui la diarrea a causa di Clostridium difficile ). Lo Staphylococcus aureus metacillina-resistente (MRSA) è isolato in circa 5% di tutte le infezioni nosocomiali.La parola preoccupante è quel metacillina-resistente che indica come sia insorta una resistenza da parte dei batteri agli antibiotici, finora strumento essenziale per contrastare diversi tipi di infezione, tanto è vero che le operazioni chirurgiche, semplici o complesse, non potrebbero essere eseguite senza l’ausilio di questi farmaci.Tuttavia parrebbe proprio che si sia perpetrato un vero e proprio abuso di antibiotici, limitandone di fatto l’efficacia e dando vita a una delle più gravi minacce alla salute pubblica, che le istituzioni devono fronteggiare.In Italia, la resistenza agli antibiotici è tra le più elevate in Europa, e ogni anni le Infezioni Correlate all’Assistenza colpiscono circa 284.000 pazienti, di cui una percentuale che va dal 7 al 10% vengono colpiti da infezione batterica multiresistente. Il tasso di mortalità è elevato – circa 7000 decessi l’anno – il che equivale al doppio delle vite perse per incidenti stradali.Un’epidemia silente che non pare destinata a essere contenuta, almeno per quanto riguarda le infezioni dovute a batteri antibioticoresistenti.Infatti, secondo uno studio commissionato dal Governo Britannico, entro il 2050 quasi 10 milioni di persone nel mondo potrebbero morire ogni anno per malattie infettive non più curabili. Per altri studiosi l’emergenza sarebbe ancora più vicina e già nel 2025 il numero dei decessi per ICA potrebbe raggiungere il milione di persone solo in Europa. Allo stato attuale, in effetti, non è ancora stata scoperta una molecola antibiotica capace di costituire uno scudo efficace contro batteri che diventano sempre più aggressivi e in grado di adeguarsi di autoimmunizzarsi rispetto ai farmaci che vengono schierati.Inoltre, il Progetto europeo EARSS di sorveglianza delle infezioni resistenti ha evidenziato come l’Italia sia uno dei paesi europei con la proporzione più elevata di infezioni sistemiche sostenute da Staphylococcus aureus meticillina-resistente (MRSA) su tutte le infezioni sistemiche da Staphylococcus aureus. Questo microrganismo è d’origine prevalentemente ospedaliera e la frequenza di infezioni sistemiche da MRSA viene utilizzata da diversi paesi come indicatore di trasmissione di infezioni nelle organizzazioni sanitarie.In attesa della “nuova arma”, cosa fare e come agire per fronteggiare la situazione, evitando laddove sia possibile (ma quegli stessi studi che denunciano l’alta percentuale di Infezioni sostengono che un comportamento virtuoso da parte degli operatori sanitari ne ridurrebbe del 20/30% l’insorgenza) la diffusione di batteri patogeni, antibioticoresistenti o meno?Ogni paese cerca di correre ai ripari come può e anche in Italia è stato presentato un “Piano Nazionale di Contrasto dell’Antimicrobico-Resistenza (PNCAR) 2017-2020”, pubblicato lo scorso ottobre. Si tratta di un documento corposo, che “si propone di fornire un indirizzo coordinato e sostenibile per contrastare il fenomeno dell’AMR a livello nazionale, regionale e locale”.Ma nel Piano non viene contemplato, tra le varie azioni a breve, medio, lungo termine, per contrastare il fenomeno delle antibiotico-resistenze e delle ICA, l’aspetto di igiene e sanificazione ambientale, che, insieme con l’igiene delle mani (prassi quest’ultima raccomandata da tutti gli studi internazionali, tanto da avere addirittura istituito, il 5 maggio di ogni anno, la giornata mondiale del lavaggio mani), continua a essere il caposaldo nella lotta alle ICA: se non presidiato correttamente, tutte le altre azioni di lotta rischiano di essere inficiate.Della questione si è dibattuto recentemente durante l’8o Congresso Nazionale Simpios (Società Italiana Multidisciplinare per la Prevenzione delle Infezioni nelle Organizzazioni Sanitarie), specificatamente nella relazione sulla “disinfezione ambientale nell’implementazione della strategia multimodale di controllo delle IOS/ICA: quali sono i passi da compiere”, illustrata dai dottori Spartaco Mencaroni, Responsabile UOS Gestione Servizi Appaltati - Rete ospedaliera ASL Nordovest, e Silvia Memmini, Medico in Formazione Specialistica in Igiene e medicina Preventiva Università di Pisam, del Presidio Ospedaliero San Luca di Lucca.Dalla relazione è emerso che nella trasmissione delle ICA un ruolo fondamentale, accanto ai fattori inerenti il paziente e a quelli relativi agli operatori (in quest’ultimo caso determinante è anche la scarsa adesione alle procedure e ai protocolli), viene ricoperto dai fattori ambientali, che costituiscono un rischio emergente.Infatti è noto a tutti gli operatori sanitari che:• I patogeni nosocomiali sopravvivono bene su superfici asciutte;• Le superfici ambientali sono spesso contaminate da agenti patogeni nosocomiali, e tra queste si possono annoverare anche singoli oggetti, come i telefoni;• La camera precedentemente occupata da un paziente con multi-resistenza antibiotica aumenta il rischio di trasmissione al paziente che successivamente occupa lo stesso letto;• Molte superfici non vengono pulite secondo quanto indicato dai protocolli;• Una pulizia più accurata riduce la contaminazione ambientale;• La sanificazione seguita dalla disinfezione riduce l’acquisizione di microrganismi patogeni;• Superfici ambientali contaminano frequentemente le mani del personale sanitario e i ceppi patogeni ambientali sono stati collegati a epidemie.Incredibile ma vero! La pulizia, la sanificazione e la disinfezione sembrano essere concetti alieni. Eppure sono concetti ribaditi da tanta letteratura scientifica internazionale.Per esempio il “Journal of Hospital Infection, già nel dicembre 2009 riportava una relazione di S.J.Dancer, sul ruolo della pulizia ambientale nel controllo delle infezioni correlate all’assistenza, nella quale si sosteneva che ci sono “collegamenti tra l’ambiente ospedaliero e vari patogeni, incluso Staphylococcus aureus meticillino-resistente, vancomicinoresistente, Enterococchi, Norovirus, Clostridium difficile, e Acinetobacter. Questi organismi potrebbero essere in grado di sopravvivere in ambienti sanitari, ma esistono prove a sostegno della loro vulnerabilità rispetto al processo di pulizia. La rimozione, con o senza disinfettanti, sembra essere associata a ridotti tassi di infezione per i pazienti. Sfortunatamente (aggiunge l’autore – ndr), la pulizia viene spesso fornita come parte di un pacchetto generale di controllo delle infezioni in risposta a un’epidemia e l’importanza della pulizia come singolo intervento rimane controversa”.Anche per questo motivo il CDC (Centers for Disease Control and Prevention), un importante organismo di controllo sulla sanità pubblica degli Stati Uniti d’America, ha emanato una serie di Strategie di pulizia e disinfezione per le superfici ambientali nelle zone di degenza, aggiornate al febbraio dello scorso anno1. Tra l’altro si raccomanda di pulire regolarmente le superfici (per esempio: pavimenti, pareti e tavoli) anche se non presentano tracce di sporco visibile e rimuovere prontamente le fuoriuscite di liquidi. Per eseguire la pulizia:1. Utilizzare un prodotto disinfettante/detergente ospedaliero registrato EPA progettato per scopi di pulizia generale nelle aree di cura del paziente quando:• esiste incertezza circa la natura dello sporco sulle superfici [per esempio, contaminazione del sangue o del fluido corporeo piuttosto che polvere o sporcizia di routine];• esiste incertezza riguardo alla presenza o assenza di organismi multi-farmaco resistenti su tali superfici.2. Detersivo e acqua sono adeguati per la pulizia di superfici in aree non ospedaliere (per esempio gli uffici amministrativi).3. Pulire e disinfettare le superfici più soggette a essere toccate (ad esempio, maniglie delle porte, guide del letto, interruttori della luce e superfici all’interno e all’esterno dei servizi igienici nelle stanze dei pazienti) con una frequenza maggiore rispetto ad altre superfici meno soggette a essere toccate.4. Pulire le pareti, le tende e le finestre nelle aree di degenza, quando sono visibilmente polverose o sporche.Viene ribadito, sempre dal CDC2, per prevenire la trasmissione di agenti infettivi, che, siccome la pulizia e la disinfezione delle aree di degenza sono importanti per le superfici più frequentemente toccate, in particolare quelle più vicine al paziente, che sono più facilmente contaminate (es. sponde del letto, comodini, maniglie, lavelli, superfici e attrezzature nelle immediate vicinanze al paziente), sarebbe opportuno che in tutte le strutture sanitarie, le attività amministrative, di staff e di pianificazione dessero la priorità alla corretta pulizia e disinfezione delle superfici che potrebbero essere implicate nella trasmissione delle infezioni.Gli esempi dell’efficacia di queste pratiche non mancano. Il Journal of Hospital Infection, nel 2016, descrive il monitoraggio3 di Enterobacteriacei resistenti al Carbapenemi in un’unità di terapia intensiva per cardiochirurgia, in cui sono state adottate misure efficaci per il controllo delle infezioni. L’osservazione è stata effettuata dall’aprile 2013 al dicembre 2014, periodo durante il quale, oltre alle normali misure di screening e di attività infermieristica, sono state potenziate le misure di controllo delle fasi postoperatorie, è stato fornito gel alcolico per disinfettare il letto dei pazienti, è stato effettuato il lavaggio, senza risciacquo, delle superfici con salviette impregnate di clorexidina al 2%, ed è stata effettuata la disinfezione delle superfici intorno al paziente tre volte al giorno.Si è osservato che le percentuali di colonizzazione della CRE (P

Se l’articolo ti è piaciuto rimani in contatto con noi sui nostri canali social seguendoci su:

Nessun commento

Lascia un commento