di Maurizio PedriniMarco Scandogliero è un giovane ristoratore, che nel 2016 si è aggiudicato il titolo di miglior sommelier del Veneto; proviene da una famiglia che ha scritto intense pagine di storia e tradizione enogastronomica nel settore. A Roverchiara, a circa una trentina di chilometri da Verona, gestisce, con grande passione e dinamismo “La Locanda le 4 Ciacole”. Lo abbiamo incontrato per farci raccontare la sua esperienza durante il periodo emergenziale del Covid 19 e conoscere le complesse problematiche affrontate al momento della ripresa, la cosiddetta Fase 2. Quando ha percepito la gravità e la portata della situazione che si stava verificando in Italia a seguito della diffusione del virus?“Ho capito subito che andavamo incontro a qualcosa di grave, che ci avrebbe cambiato la vita. Aggiungo che la percezione è stata più marcata qui in città, rispetto alla provincia. Eppure, il ristorante storico che gestisco nella Bassa Veronese si trova a soli venticinque chilometri dal Comune di Vo’ Euganeo, nel padovano, uno dei primi focolai in Italia. Però ho avuto subito avuto la netta sensazione che il problema generalmente fosse un po’ sottovalutato, anche perché i media ci fornivano informazioni contrastanti e gli stessi virologi e scienziati interpellati, tendevano spesso a ridimensionare il fenomeno, affermando che non c’era da preoccuparsi, in quanto il COVID era poco più di un’influenza”.Qual è stato il momento preciso in cui tutte le preoccupazioni si sono concretizzate?“A dire il vero, ai primi di marzo, qualche giorno prima che partisse il lockdown, abbiamo preso la decisione di chiudere i nostri locali, per precauzione ma soprattutto per mancanza di un quadro preciso di riferimento. L’incertezza regnava suprema e non si sapeva davvero cosa fare. Del resto, nessuno ci ha consigliato o a cercato di venirci incontro: siamo stati costretti a brancolare nel buio. Consideriamo, inoltre, che quando si trascorrono venti ore della propria giornata svolgendo un lavoro intenso e massacrante come il nostro, non si ha molto tempo per tenersi aggiornati”.Poi è arrivata la famosa sera dell’8 marzo, che ha precipitato gli eventi. Come l’avete vissuta?“Sinceramente, non bene. Ricordo la conferenza stampa del primo ministro Giuseppe Conte che alle 23 ha comunicato agli italiani di voler chiudere l’Italia. Siamo rimasti abbastanza basiti di fronte a questa scelta e in quel preciso momento ha avuto la conferma non solo di tutte le mie giustificate paure, ma anche del grosso danno economico che sarebbe derivato da quella scelta per tutti noi. Non so se quella scelta sia stata giusta o sbagliata, ma sta di fatto che per un imprenditore come me, si è rivelata una decisione di enormi proporzioni, carica di conseguenze disastrose”.Una condizione per certi versi surreale, che avete affrontato con coraggio.“Sì, non ci siamo persi d’animo, disponendo dell’apposita licenza, abbiamo chiuso l’attività di ristorazione rimanendo aperti per tutto questo difficile periodo con la vendita di generi alimentari divenendo la bottega del paese e fornendo in questo modo un prezioso servizio sociale. Io e tutto il mio staff, formato da Marina, Raffaele e Michele, assieme a Tiziano e Gabriella, che sono i miei genitori, non abbiamo avuto alcun dubbio nel mettersi a disposizione della collettività in un momento così delicato. Infatti, come ben sappiamo, nelle piccole comunità di provincia, molti supermercati hanno chiuso e l’avvento dei centri commerciali ha portato alla chiusura di parecchi negozi di prossimità. Questo fenomeno, negli ultimi quindici anni è avvenuto anche nel nostro paese, con conseguenze preoccupanti perché – in pratica – tutte queste piccole attività hanno cessato di esistere. Noi dal 1904 siamo specializzati nella produzione di salumi e formaggi di alta qualità, per appassionati che sanno apprezzare le nostre selezioni. Perciò abbiamo ci siamo armati di buona volontà ed abbiamo pensato di ampliare la nostra offerta con tutti quei prodotti di prima necessità che erano improvvisamente venuti a mancare alla cittadinanza: uova, latte. Pasta, polenta e tanto altro”.Quali difficoltà avete dovuto affrontare?“Non poche, ma in soli tre giorni siamo riusciti ad attivarci in maniera egregia, offrendo il nostro servizio soprattutto alle persone che non potevano spostarsi in automobile, agli anziani, a chi era in grave difficoltà. Se c’era qualcuno dei nostri clienti che aveva bisogno della pasta senza glutine o del pane di soia, andavamo ad acquistarla appositamente: raccoglievamo le liste e per tre giorni procedevamo a comperare quanto ci veniva richiesto, rivendendolo senza alcun margine di guadagno. Sono molto orgoglioso di quanto abbiamo fatto e commosso per tutte le attestazioni di stima che ci sono arrivate, soprattutto da parte di persone anziane. Pensi che, non disponendo di un panificio aperto, mi sono messo perfino a fare il pane, improvvisandomi fornaio, con ottimi risultati”.“4 CIACOLE ” ALL’INSEGNA DI UNA RISTORAZIONE DI QUALITÀDal 1904 la famiglia Scandogliero serve il paese di Roverchiara (VR) con la storica bottega. Un storia che si tramanda di generazione in generazione partendo da Guido, per poi passare a Milio, Tiziano fino a Marco. Nel 2008, Tiziano Scandogliero decide di aprire il primo ristorante, a Roverchiara, dandogli il nome di Locanda le 4 ciacole. Il Figlio Marco, fresco di studi nella facoltà di Diritto Internazionale all’ateneo di Trento, decide di seguire le orme paterne alla conquista del gusto. Inizia a Lovarare in sala nel ristorante di Roverchiara appassionandosi di vino. Nel 2016 vince il concorso come migliore Sommelier del Veneto AIS, ed a Maggio dello stesso anno inaugura a Verona il secondo locale del gruppo 4 Ciacole, L’imbottito. A novembre 2019 sempre a Roverchiara. Si inaugura la Sbecoleria “ La dispensa delle 4 ciacole” ed a luglio 2020 a Marano di Valpolicella partirà la trattoria “ Il Ridotto delle 4 Ciacole”. Una storia di “ Gusto” che si tramanda di generazione in Generazione.Poi è finalmente arrivata la FASE 2, quella della ripartenza. Con quale spirito?“A Verona sono stato fra i promotori della manifestazione Non sta andando tutto bene, che ha raccolto parecchi consensi tra i negozianti della provincia. Non perché fossimo animati da uno spirito disfattista, ma con l’intento di segnalare le gravi incertezze di questo momento così atteso: avremmo voluto che ci fossero i presupposti economici ed un minimo di garanzie per affrontare l'Everest che dovremo scalare nei prossimi giorni e mesi. Una risalita che si annuncia carica di fatiche ed oneri, il cui esito positivo non appare affatto scontato. Noi, da buoni veneti, non ci siamo tirati indietro davanti alle difficoltà, restando davvero sconcertati che in novanta giorni il Governo non sia stato in grado di stilare uno straccio di protocollo igienico per guidarci lungo il percorso della ripartenza. Ci ha solo comunicato la notte del 17 maggio, che avremmo potuto riaprire i battenti il giorno dopo. Credo che, pur con tutte le giustificazioni possibili, questo fatto si commenti da sé”.Veniamo al nodo critico della sanificazione dei locali: come vi siete regolati?“Premetto che, ovviamente, siamo perfettamente consapevoli di quanto fosse importante una perfetta sanificazione dei locali, non solo in vista della riapertura ma anche e soprattutto per il mantenimento delle condizioni di sicurezza igienica una volta che gli stessi fossero stati nuovamente frequentati dai nostri clienti. Infatti, la potenziale permanenza del COVID-19 sulle diverse superfici, obbliga a prestare costante attenzione a tutte le aree potenzialmente contaminate. Noi, comunque, abbiamo agito facendoci guidare dall’esperienza, dal buon senso e – soprattutto – dalla rigorosa cura della pulizia e dell’igiene a cui ci siamo sempre dedicati con il massimo impegno. Perciò abbiamo cominciato a ripulire, disinfettare e igienizzare ogni spazio con la vaporella ed altri prodotti specifici”.Dunque non vi siete affidati ad una ditta esterna per le operazioni di sanificazione?“No, troppi discorsi inutili, troppa disinformazione. Abbiamo deciso di contare sulle nostre risorse e sulla professionalità dei nostri dipendenti, mettendo ovviamente a loro disposizione tutte le informazioni e gli strumenti necessari, compresi i dispositivi di protezione. Non abbiamo fatto grossi investimenti, né li avrei fatti – ad esempio – se fossero state obbligatorie le barriere in plexiglas. Le confesso che a quel punto avrei chiuso l’attività perché per noi sarebbe stata la morte, in quanto ristoranti e bar sono locali di aggregazione. La sera del 17 maggio e la mattinata del 18 ci siamo impegnati a svolgere nel miglior modo possibile tutte le operazioni di routine igienica che svolgiamo solitamente e con grande puntualità e costanza. Tenga presente che il protocollo sanitario per la ristorazione è particolarmente rigoroso: tre passate di cosiddette “saponate” con idonei detergenti professionali appositi per il nostro settore, altamente disinfettanti; vaporelle passate sulle piastrelle; cucine smontate e perfettamente igienizzate nelle superfici. Tutte operazioni che eseguiamo sistematicamente e in maniera più approfondita ogni sabato. Senza contare che due volte all’anno mandiamo i tamponi all'Asl per un controllo che ci tuteli pienamente dal rischio di infezioni batteriche. Ora, dopo tutto questo lavoro, non ci resta che sperare in una vera ripartenza e che questi nostri sforzi vengano premiati dal graduale ritorno alla normalità. Non sarà facile, ma per un giovane ristoratore come me, questo rappresenta un imperativo categorico!”.