Elena ConsonniCi sono delle applicazioni che sono soddisfatte da queste tipologie di prodotti. I sanificanti senza pittogrammi di pericolo (normalmente per uso manuale) hanno target applicativi ben definiti: puliscono dove c’è già abbastanza pulito, disincrostano dove le incrostazioni sono abbastanza gestibili, disinfettano dove la contaminazione microbica non interferisce o presenta meno problematiche di rischio di tossinfezione, delegando all’azione manuale dell’operatore gran parte della responsabilità del risultato.Quanto detto si applica ai sanificanti ad azione manuale. Per altre applicazioni che fanno uso di macchine, per esempio le lavastoviglie, la richiesta di forza chimica del sanificante diventa più impellente e l’approccio formulativo inizia a cambiare e riappaiono i pittogrammi di pericolo (per esempio per la soda caustica) e ci si avvicina al concetto di detergenza tradizionale. Per quanto riguarda le aree di preparazione dei pasti, la sicurezza igienica è prioritaria. La normativa imposta dal regolamento CE 66/2010 è praticamente inapplicabile nella costruzione di sanificanti efficaci, sicuri (ed economici), per insufficiente forza chimica, per l’impossibilità di rispondere a tutte le variabili di contaminazione chimica e microbica e per il costo più alto rispetto alla detergenza tradizionale. La soluzione è quella di adottare prodotti differenti per gli ambienti strettamente produttivi e per quelli di contorno, dove è non solo possibile, ma anche auspicabile, utilizzare detergenti Ecolabel. Ma anche negli ambienti di produzione si può ridurre l’impatto ambientale della sanificazione, adottando formulazione che sostituiscono l’EDTA, quando non strettamente necessario, con altri sequestranti ugualmente validi, che non eccedano con l’uso di fosfati, e che utilizzino altri acidi organici (glicolico, citrico…) al posto di quello fosforico, sostituendo il cloro con acqua ossigenata e selezionando i tensioattivi non solo per attività e biodegradabilità, ma anche per gli effetti minori sull’ecosistema delle frazioni di degradazione, che spesso sono molto più pericolose del tensioattivo stesso.