La competitività dei prodotti oggi si gioca sempre più sulla possibilità di comunicare e assicurare al cliente che questi provengano da contesti produttivi noti e riconosciuti come sinonimi di “eccellenza”. Molti degli sforzi, che negli ultimi anni sono stati attuati dal sistema produttivo nazionale nell’intento di rilanciare il cosiddetto “Made in Italy”, si sono basati su tentativi di valorizzare la qualità dei prodotti garantita dalla loro provenienza, ovvero in ragione del fatto che questi prodotti fossero ideati, progettati e realizzati in zone geografiche in cui giocano alcuni fattori premianti del “modus operandi” e “vivendi” italiani: la creatività, la salubrità, le tradizioni culturali e artistiche, la forte connessione con il territorio, l’attenzione alla qualità della vita, ecc. Questo sforzo di valorizzazione si è quindi alimentato con approcci più simili al “marketing territoriale” che alle strategie competitive pensate per la singola impresa. Richiamare il “luogo di origine” di un prodotto, a prescindere dalla singola impresa che lo propone, significa evocare nel cliente una serie di vantaggi e di elementi qualitativi che la produzione locale di un territorio si è costruita e guadagnata attraverso decenni, quando non secoli, di attività produttiva e commerciale. Proprio grazie alla capacità di presentarsi sul mercato internazionale con un’azione di comunicazione e promozionale univoca e omogenea molti “distretti industriali” (vera spina dorsale del sistema produttivo italiano) negli anni più recenti sono stati capaci di reggere l’urto della competizione globalizzata e della concorrenza extraeuropea, facendo leva sui fattori competitivi già messi in evidenza. La promozione e la valorizzazione del “marchio locale” hanno consentito, da un lato, di condividere le risorse necessarie a sostenere tali azioni (che le singole piccole e medie imprese non sarebbero riuscite individualmente a mobilitare) e, dall’altro, a far sì che tutte le imprese operanti nello stesso contesto territoriale potessero trarne beneficio in egual misura sotto il profilo competitivo.La normativa sul “Made Green in Italy” ha recepito sul piano legislativo questo orientamento. Tale normativa è contenuta nell’art. 21 della legge 221/2015 inerente il Collegato Ambientale alla Legge di Stabilità 2015 e prefigura uno sviluppo completamente nuovo per i prodotti nazionali di alta qualità. Di tale normativa è poi uscito il Decreto Attuativo del MATTM, D. n. 56 del 21 marzo 2018 e pubblicato in GU il 29 maggio 2018. Marchio che richiede la costruzione di un disciplinare di verifica degli impatti ambientali detto “Regola di Categoria di Prodotto” (RCP), che stabilisce secondo quali regole le aziende produttrici possono ottenerlo. È di fatto assimilabile a una norma di qualità ambientale, che però si deve applicare per sua natura a tutto il processo produttivo. Pertanto, lo sviluppo del marchio per un prodotto richiede due passaggi:
la costruzione della RCP e l’approvazione da parte del Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica; l’applicazione delle regole della RCP alle aziende che vogliono ottenere il marchio e la verifica della loro validità tramite un organismo di certificazione. Una strada che AFIDAMP, da sempre impegnata per lo sviluppo delle imprese del settore del cleaning professionale e anche in tutela dell’ambiente, non poteva che cavalcare, impegnandosi per individuare il percorso migliore da perseguire.AFIDAMP ha quindi partecipato al Bando e con Decreto prot. EC 85 del 04-10-2022 del Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica, è risultata soggetto ammissibile al finanziamento per la redazione di una RCP dedicata alle macchine lavasciuga pavimenti. Per realizzare la Regola, AFIDAMP si sta avvalendo dell’esperienza di ERGO srl, società Spin-off della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa. Il Consiglio Direttivo ha fortemente voluto che i partner consulenti facessero capo a un’Università di eccellenza che garantisse la serietà del risultato finale. Questa iniziativa sarà funzionale per il calcolo della Carbon Footprint delle macchine lavasciuga pavimenti e per valorizzare quelle tecnologie che contribuiscono alla riduzione dell’impatto ambientale.
Obiettivi e passaggi necessari
L’obiettivo è quello di introdurre il marchio Made Green in Italy all’interno del settore delle macchine lavasciuga, identificando al suo interno le categorie ambientali di riferimento specifiche, riferite ai prodotti rappresentativi identificati con il committente. I prodotti rappresentativi terranno conto, in particolare, delle diverse tecnologie inserite nelle macchine per l’attività durante la fase d’uso. Il marchio Made Green in Italy si basa sull’applicazione della metodologia PEF – Product Environmental Footprint – come fondamento per le politiche a favore del miglioramento della resource efficiency, dell’impatto ambientale dei prodotti e dei loro cicli di vita. L’implementazione di questa metodologia consente di introdurre un preciso orientamento nella produzione aziendale, che è quello di associare alla produzione di qualità il messaggio ambientale e della sostenibilità visti non solo come strumenti di valorizzazione del territorio e dell’ambiente ma anche come strumento di differenziazione sul mercato e di sviluppo dell’economia circolare. Per quanto attiene al marchio Made Green in Italy (MGI) è importante prima di tutto sottolineare che il passaggio da prodotto di qualità e di tradizione, quand’anche sia regolamentato da precise regole di produzione, a prodotto ecologico e sostenibile, non è affatto scontato. È opportuno essere consapevoli che possono essere necessari degli aggiustamenti specifici sulla filiera produttiva, in base a come vengono definite le Regole di Categoria di Prodotto (RCP) e dal quadro delle regole europee già adottate. Il primo passo è stato quello di definire il prodotto in relazione a un ambito specifico e di modellare il sistema produttivo della filiera. È stato poi necessario occuparsi dell’applicazione del modello al Sistema produttivo delle macchine per la pulizia per uso industriale. Tramite una serie di calcoli su dati che devono riguardare un gruppo di aziende che produce complessivamente almeno il 51% del fatturato del settore, sarà estratto, con procedure univoche e definite a livello europeo, un “benchmark ambientale”, ovvero una “classe di impatti medi” per il sistema produttivo descritto. Si tratta di una fase di Screening, cruciale per la definizione di una RCP, poiché non solo definisce le principali categorie di impatto e le soglie di riferimento, ma identifica anche le principali criticità nella filiera e i criteri che possono determinare l’esclusione o meno di alcune aziende dal marchio. A questo punto viene valutata la RCP definitiva, validata da AFIDAMP e presentata al Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica, che provvederà alla revisione e pubblicazione. Si tratta di un passaggio molto importante che permetterà a tutte le aziende associate AFIDAMP che ne faranno richiesta di effettuare la propria PEF, farla certificare da un certificatore ACCREDIA e ottenere il Marchio Made Green in Italy, che può essere utilizzato insieme al marchio di Denominazione di Origine.
LA PEF: come ottenerla e quali vantaggi
La PEF studia gli aspetti ambientali e gli impatti potenziali durante l’intero ciclo vita del prodotto. Il ciclo è analizzato ripercorrendo gli impatti connessi col prodotto in ogni fase della sua “vita utile”, ovvero dall’acquisizione delle materie prime e preparazione, alla trasformazione, fino alla distribuzione e al consumo da parte del cliente, nonché allo smaltimento degli scarti, includendo in ognuna di queste fasi gli impatti ambientali derivanti dal trasporto. In primo luogo, verrà condotta una identificazione e definizione del sistema-prodotto e modellizzazione dei relativi scenari di riferimento per una filiera produttiva rappresentativa delle filiere e dei prodotti considerati. Seguirà una precisa identificazione delle unità funzionali (prodotto o prodotti medi rappresentativi) per lo sviluppo della metodologia e definizione dei confini del ciclo di vita. Queste attività saranno finalizzate all’impostazione dello screening condotto secondo le indicazioni e le linee guida metodologiche fornite dalla metodologia della DG Ambiente (Racc. 2013/179/CE e aggiornamenti seguenti, come la recente PEF Guidance 6.3 del maggio 2018) e, per quanto attiene al Marchio MGI, dal Decreto Attuativo del Made Green in Italy. Le principali categorie di impatto ambientale da tenere in considerazione riguardano l’utilizzo di risorse, la salute dell’uomo e i potenziali impatti ambientali su categorie quali l’effetto serra, l’acidificazione e l’eutrofizzazione (complessivamente sono una quindicina). L’obiettivo dell’analisi è quello di costruire un “Profilo” del prodotto, ovvero un inventario del ciclo di vita condotto tramite la raccolta e l’analisi dei dati ambientali in ingresso e in uscita dal ciclo produttivo, quantificando l’utilizzo di flussi di energia e materie prime e le emissioni in aria, acqua e nel suolo associati a quel sistema. Ciò consente l’identificazione delle unità di processo, all’interno del sistema di produzione, che generano i maggiori impatti. La suddivisione in fasi del processo produttivo, con dati specifici rilevati o stimati per ogni fase dai quali si traggono le categorie di impatto, consente non solo di avere consapevolezza delle maggiori criticità, di definire gli elementi necessari per descrivere la RCP e delineare il processo operativo per l’ottenimento del Marchio, ma anche di introdurre strumenti di vera e propria economia circolare. Pensiamo per esempio al recupero degli scarti, alla riduzione dei consumi di energia e acqua. Per l’elaborazione delle RCP sarà poi importante raccogliere i dati e organizzarli in uno specifico software, in modo da produrre la documentazione di supporto per la sua approvazione presso il Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica. Una fase fondamentale che permetterà di arrivare alla definizione di una Regola per le lavasciuga in grado di valorizzare tutti i prodotti che potranno usufruire del marchio, rendendoli conformi all’ambiente, sostenibili e competitivi sul mercato.Giuseppe Riello, Presidente AFIDAMP