Pulizia e sanificazione nelle aziende alimentari

Nell’industria alimentare la pulizia e la sanificazione hanno come obiettivo primario la sicurezza sanitaria degli alimenti. Ne ha parlato Stefano Zardetto, tecnologo alimentare e presidente dell’Ordine dei Tecnologi alimentari del Veneto e Friuli Venezia Giulia, intervenendo lo scorso 23 gennaio nell’ambito del convegno digitale CleaningPiù, evento interamente dedicato alla cultura della pulizia industriale degli ambienti di lavoro. “Parlando di produzione, somministrazione e vendita di alimenti non si può prescindere dal considerare quanto le norme cogenti e volontarie prescrivono”, chiarisce subito Zardetto, citando come primo riferimento, proprio il Regolamento (CE) n. 178/2002, che stabilisce i principi e i requisiti generali della legislazione alimentare e ricorda uno degli obiettivi fondamentali, cioè il conseguimento di un elevato livello di protezione della vita e della salute umana. Parlando di cleaning, per quanto riguarda gli aspetti cogenti, bisogna guardare ad una serie di norme che si sono sviluppate intorno al concetto di protezione della salute del consumatore e che – anche per quel che riguarda il tema della pulizia – hanno come riferimento principale il Reg. CE 852-2004 sull'igiene dei prodotti alimentari. Al capitolo 5 la norma rimanda agli obblighi degli operatori del settore alimentare, sui quali pesa interamente la responsabilità del sistema di sicurezza: sono loro a dover predisporre, attuare e mantenere una o più procedure permanenti, basate sui principi del sistema HACCP. Il concetto è poi anche richiamato dalla Comunicazione della Commissione europea numero 2022/C355/01 (relativa all’attuazione dei sistemi di gestione per la sicurezza alimentare riguardanti le corrette prassi igieniche e le procedure basate sui principi del sistema HACCP, compresa l’agevolazione/la flessibilità in materia di attuazione in determinate imprese alimentari - vedi box) che definisce come attuare la gestione dei sistemi di sicurezza e dove si ribadisce che pulizia e disinfezione sono programmi di pre-requisiti (Pre-Requisite Program o PRP). I PRP infatti sono l’insieme di tutte quelle pratiche che garantiscono l'idoneità igienica di un prodotto all’interno di un ben definito sistema di sicurezza. Si fa poi anche riferimento alla cultura della sicurezza alimentare cioè alla consapevolezza e all’impegno di tutti gli operatori nel metterla in pratica e garantirla, attraverso la definizione di un piano di intervento che sia commisurato alla dimensioni dell’azienda.Dalle norme cogenti a quelle volontarie non cambia l’approccio. Anche nei testi dei diversi standard di qualità volontari la gestione dei sistemi per garantire l’igiene delle produzioni è un punto fondamentale. Nel BRC Global Standard for Food Safety (del British Retali Consortium, associazione di categoria per le attività di vendita al dettaglio nel Regno Unito) e in IFS Food (International Food Standard, messo a punto per garantire la qualità e sicurezza di prodotti e processi per gli operatori della Grande Distribuzione Organizzata) largo spazio è dedicato alle attività di sanificazione: per BRC devono essere adottati sistemi di pulizia in grado di garantire il mantenimento costante di livelli di igiene adeguati, per ridurre al minimo il rischio di contaminazioni dei prodotti; IFS sottolinea l’importanza dell’analisi dei pericoli e della valutazione dei rischi e dell’attuazione di adatti programmi di pulizia e disinfezione nell’azienda.Tutti questi obblighi e riferimenti si traducono per l’operatore nell’elaborazione di un piano di sanificazione che, pur commisurato alla tipologia di azienda, deve dar prova di efficacia e deve essere validato e documentato. È solo così, precisa il tecnologo, che si garantisce che un’attrezzatura o un impianto di produzione abbia livelli accettabili di residui di prodotto alimentare, ma anche di residui chimici (per esempio dopo una sanificazione), di contaminanti microbici e di allergeni. “È evidente che per garantire la sicurezza delle produzioni alimentari sia da osservare uno spettro di elementi sempre più ampio”. Zardetto fa riferimento alle procedure da mettere in atto, in relazione alla complessità oggi raggiunta dai processi di produzione, che devono rispondere alle esigenze di un mercato in continua evoluzione: dalle tendenze alimentari (si pensi alle problematiche relative agli allergeni in prodotti che ne vantano l’assenza in etichetta), ai processi di transizione ecologica, che via via si traducono in nuove norme e divieti (dal risparmio di risorse come l’acqua, al divieto di utilizzo di principi attivi ad alto impatto ambientale).Da un punto di vista operativo quanto anticipato implica innanzitutto la valutazione di quale deve essere il livello accettabile da raggiungere in termini di pulizia. Spesso ci si preoccupa del solo pericolo microbiologico, rappresentato per esempio da batteri patogeni come Salmonella e Listeria e non si dà sufficiente peso al fatto che i pericoli siano diversi e ugualmente importanti sulla scala della valutazione e della prevenzione. Fra i pericoli in ambito alimentare infatti vanno considerati, oltre agli agenti biologici, quelli fisici, come corpi estranei duri o affilati tipo frammenti di vetro o di metallo, che negli alimenti sono in grado di provocare effetti altrettanto nocivi sulla salute; e poi quelli chimici, come la diossina o gli allergeni o – limitatamente al tema del cleaning - tutto ciò che può rimanere come residuo dei prodotti di pulizia utilizzati, non ben sciacquati.

Piano di sanificazione
Quali sono quindi i passi da fare nella predisposizione di un piano? Si è già detto che anche le norme parlano di flessibilità nell’elaborazione di un intervento: sia per l'applicazione delle GHP (buone pratiche di igiene) sia per quella delle procedure basate sui principi del sistema HACCP, si devono tenere conto “della natura dell'attività e delle dimensioni dello stabilimento”. Lo dicono appunto anche le linea guida della Commissione: poiché le caratteristiche di prodotto e la complessità di un impianto, sono diverse, “le prassi possono essere modulate in funzione della grandezza dell’azienda”.Non esiste un piano che sia applicabile indistintamente a tutte le realtà produttive. “Non sarebbe efficace”, dice Zardetto. L’intervento deve invece essere sempre commisurato ad una valutazione dei costi e dei tempi di un’azione di pulizia. Un livello accettabile di igiene è infatti per definizione un livello di sicurezza in relazione agli usi previsti di un alimento (target, modalità di consumo, catena di distribuzione, packaging…). Non è un concetto univoco e assoluto. Pensiamo per esempio al cosiddetto “disegno igienico” di una macchina, di un impianto o al layout igienico di uno stabilimento. Il disegno igienico è l’insieme di principi e regole che applicate ad impianti, macchinari e layout di edifici determinano una progettazione e una realizzazione secondo criteri che permettano, dopo l'uso, il ripristino di un livello accettabile di pulizia, in modo economico e in tempi ragionevoli, per garantire la sicurezza dei prodotti e quindi la salute del consumatore. “Oggi se ne parla – e si cerca di applicarlo – sempre più spesso perché partendo dalla progettazione si riduce la complessità” spiega Zardetto. Fatta questa premessa si può procedere a valutare le diverse variabili che hanno effetto su un piano di cleaning: dal metodo di applicazione dei detergenti, alla valutazione della tipologia di sporco; dalle caratteristiche dell’acqua, alla compatibilità degli impianti; dalla scelta del detergente o dello strumento da utilizzare per pulire, alla valutazione della sua efficacia. “Si pensi per esempio al fatto che la tipologia della carta e dei panni usati per pulire non devono introdurre corpi estranei nell’impianto”. Zardetto fa un esempio semplice, ma dalle conseguenze potenzialmente serie (ed onerose). La sanificazione del resto rappresenta un costo, è un’operazione complessa che va ottimizzata anche da un punto di vista dell’applicazione: deve quindi essere al contempo di semplice esecuzione con procedure chiare e definite; comprensibile da tutti gli operatori, che devono avere il giusto grado di competenze e formazione.Cosa pregiudica infine l'efficacia della sanificazione? Una serie di elementi: la scelta impropria di detergenti e disinfettanti, il mancato controllo delle concentrazioni dei prodotti utilizzati e la mancanza di procedure dettagliate; ma anche la formazione inadeguata dei supervisori e degli operatori, il monitoraggio microbiologico non efficace in termini di validazione dei test, le procedure di controllo inadeguate, per esempio la mancanza di un’ispezione dell’impianto. “Un controllo visivo, cioè la capacità di individuare zone morte o punti di nicchia nelle strutture e negli impianti è un’attività indispensabile e fondamentale e dalla quale sarebbe bene non derogare” consiglia Zardetto.Francesca De Vecchi

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