Nemici molto pericolosi: i batteri antibiotico resistenti

L’Azienda Ospedaliera di Lodi ha dichiarato guerra al Clostridium difficile: e l’ha vinta
Ogni anno, nell’Unione Europea, una percentuale di pazienti ospedalizzati oscillante tra l’8 e il 12% è vittima di eventi indesiderabili connessi alle cure ricevute. In questa fascia sono comprese, tra le altre cause, anche le infezioni correlate all’assistenza sanitaria (ICA). Ogni anno, nell’Unione Europea, 37.000 persone muoiono a causa di infezioni ospedaliere, contratte durante il periodo di degenza.Secondo una indagine dell’ISS, Istituto Superiore di Sanità, in Italia il numero di infezioni ospedaliere stimato è compreso tra il 5 e l’8%, ossia tra i 450.000 e i 700.000 casi (più numerosi degli incidenti stradali). L’1% di queste infezioni è la causa diretta del decesso dei pazienti. Le infezioni correlate all’assistenza hanno cause diverse, ma il 30% sarebbe evitabile con l’adozione di adeguate misure preventive, prima fra tutte il corretto e frequente lavaggio delle mani (pratica basilare ma ancora oggi inattuata in molti casi o praticata con modalità non corrette da una alta percentuale dei professionisti sanitari). Inoltre, al mancato rispetto delle procedure, si aggiunge, in alcuni casi, la mancanza di lavandini facilmente raggiungibili che non facilita certo il rispetto delle corrette procedure e, non ultimo per importanza, il contenimento della spesa, attuato attraverso tagli sempre più massicci della spesa sanitaria, che hanno inciso sul contenimento dei capitoli di spesa riferita agli appalti di pulizia e sanificazione e hanno portato alla riduzione delle frequenze di intervento della imprescindibile attività di pulizia e sanificazione ambientale. Allora appare chiaro come le Infezioni Correlate alla Assistenza non siano percentualmente diminuite negli ultimi 25 anni.
Batteri sempre più aggressivi
Ma una delle cause più insidiose, perché non immediatamente riconoscibile come tale, e quindi con un’alta incidenza di mortalità, è quella legata alle patologie che sono dovute a ceppi batterici che hanno sviluppato resistenza nei confronti degli antibiotici. L’European Center for Disease Control (ECDC) ha pubblicato uno studio che stima, per il biennio 2011-2012, la frequenza di infezioni correlate all’assistenza e al ricorso agli antibiotici negli ospedali per acuti. Sono stati coinvolti 29 paesi europei e 947 ospedali, per un totale di 231.459 pazienti. Per quanto riguarda l’Italia, è risultato che su 100 pazienti ricoverati in un giorno 6,3 presentavano una infezione correlata all’assistenza e che su 100 infezioni, il 15,8% è dovuto a batteriemie, ossia a infezioni causate da batteri, che possono arrivare a tassi di mortalità anche nel 70% dei casi. Si tratta dei cosiddetti MDROS (MultiDrug-Resistant-Organism), batteri “killer” perché hanno sviluppato multiresistenza a pressoché tutti gli antibiotici (questo è dovuto, nella maggior parte dei casi, a un utilizzo non mirato e a volte troppo disinvolto delle prescrizioni di molecole antibiotiche effettuate negli ultimi decenni). Questi batteri appartenenti alla famiglia degli Enterobatteri quali ad esempio la Klebsiella e l’Escherichia coli, sono germi normalmente presenti nella flora intestinale, che possono diventare resistenti agli antibiotici appartenenti alla famiglia dei Carpapenemi, molecole antibiotiche ad ampio spettro utilizzate prevalentemente in ambiente ospedaliero per combattere le infezioni più gravi .
Il ruolo della ricerca
Il problema è così serio che il ministro per la salute britannico, la professoressa Sally Davies, ha ventilato l’ipotesi di una “apocalisse antibiotica” che nei prossimi vent’anni potrebbe investire il mondo, se le case farmaceutiche, che negli ultimi dieci anni non hanno realizzato nessuna nuova molecola antibiotica, non troveranno una soluzione. «Se la ricerca farmaceutica non agisce in fretta e se gli operatori non avranno la possibilità e gli strumenti per attuare le buone pratiche di prevenzione e riduzione del rischio di trasmissione dei microorganismi con cui vengono a contatto, rischiamo di trovarci di fronte ad una catastrofe annunciata». L’affermazione è del dottor Marco Ferrari, responsabile della Servizio Igiene Ospedaliera della Azienda Ospedaliera della provincia di Lodi e ed è confermata dalla scoperta di alcuni ricercatori della Macquarie University di Sidney, in Australia, che, indagando sul campo della genomica, hanno scoperto e identificato una nuova famiglia di geni che consentirebbe ai batteri di essere immuni alla Clorexidina, il principale antisettico utilizzato negli ambienti ospedalieri. La ricerca ha indagato un prototipo di gene dell’Acinetobacter baumannii, battezzato Acel, capace di sintetizzare una proteina che riesce a rimuovere il disinfettante dalla cellula del batterio. Come Acel, ci sarebbero altri geni che agirebbero similmente in altri tipi di batteri, compresi quelli killer. I ricercatori australiani stanno studiando nuovi modi per bloccare questo gene. Così pare che anche ricercatori statunitensi stiano mettendo a punto una nuova molecola antibiotica. Nell’attesa, occorre garantire la sicurezza dei pazienti, che deve diventare un obiettivo prioritario delle politiche sanitarie nazionali, come ha raccomandato, già nel 2008, la Commissione Europea, invitando gli stati membri ad attuare misure di prevenzione e di lotta, a creare o rafforzare sistemi di sorveglianza attiva a livello degli Stati membri e a livello delle istituzioni sanitarie, intensificare l’istruzione alla formazione del personale sanitario riguardo alla prevenzione e al controllo delle infezioni contratte in ambiente sanitario.
Come reagire
A questo proposito particolarmente interessante è l’esperienza dell’Azienda Ospedaliera della Provincia di Lodi nella lotta alle Diarree Infettive da Clostridium difficile, realizzata, nel 2013, dal team del Servizio Igiene Ospedaliera, coordinato dal dottor Marco Ferrari sotto l’egida del CIO aziendale (Comitato Infezioni Ospedaliere), grazie alla collaborazione di un team multidisciplinare (Microbiologia, Direzione Medica di Presidio e Medici Specialisti ), che ha sperimentato con successo l’utilizzo del sistema a Perossido di idrogeno: “HyperDRYMist® Technology” della 99 Technologies di Lugano, per eliminare dagli ambienti le spore batteriche. L’Azienda Ospedaliera della Provincia di Lodi ha un bacino d’utenza di 230.000 abitanti ed è composta da quattro Presidi Ospedalieri - Lodi, Codogno, Casalpusterlengo, Sant’Angelo Lodigiano - che dispongono di 527 posti letto. Durante l’anno 2013 ci sono stati 23.688 ricoveri. A partire dall’anno 2008, nei quattro presidi dell’Azienda Ospedaliera di Lodi si era registrato un aumento del numero di infezioni da Clostridium difficile (CDAD Clostridium difficile-associated diarrhea).  Il Servizio Igiene Ospedaliera (S.I.O), per ridurre tali infezioni, ha predisposto, in accordo con il Comitato Infezioni Ospedaliere, un protocollo specifico, con procedure mirate a: Formazione degli operatori Promozione igiene delle mani Introduzione di appositi ausili e attrezzature Adeguamento dei protocolli di sanificazione Disinfezione terminale delle stanze di degenza occupati da pazienti positivi alla CDAD, mediante vapore saturo riscaldato (180° C).
Formazione degli operatori
Innanzitutto gli operatori sono stati invitati a sospettare un’origine infettiva della diarrea in tutti i casi in cui non fossero evidenti altre cause, a isolare il malato e a consultare il S.I.O fino a quando non fosse stata determinata la causa della diarrea, a utilizzare oltre alle precauzioni standard le precauzioni da contatto per tutte le manovre assistenziali con il malato e con l’ambiente, a lavare le mani con acqua e sapone prima e dopo ogni contatto con il malato o il suo ambiente circostante, eseguire indagini microbiologiche sulle feci, inclusa la ricerca delle tossine di Clostridium difficile.
Igiene delle mani
Particolare attenzione è stata posta nella promozione dell’igiene delle mani, con attività di formazione e aggiornamento del personale sulla metodica specifica, utilizzando poster nei luoghi di lavoro indirizzati anche ai pazienti e ai visitatori, per creare un clima mirato alla sicurezza del paziente e alla qualità delle cure.
Disinfezione degli ausili
Ogni singolo posto letto è stato dotato di due “padelle” ad uso esclusivamente personale del paziente ricoverato, ognuna delle quali codificata in funzione del posto letto assegnato all’utente ricoverato. Padelle e pappagalli utilizzati dai pazienti allettati sono stati sottoposti a disinfezione termica attraverso il Ciclo High-temperature, ossia sistemi di disinfezione termica dotati di meccanismo di apertura e chiusura “no-touch. Al termine del ricovero, la padella veniva avviata anche ad un ciclo di sterilizzazione, mentre la seconda padella codificata con lo stesso numero di letto veniva assegnata al nuovo paziente che andava ad occupare il letto resosi disponibile.
Protocolli di sanificazione
Si è proceduto alla revisione dei protocolli di sanificazione, come peraltro raccomandato dalla Centro Europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie (ECDC), proprio a seguito dei focolari del batterio Clostridium difficile in vari paesi europei. Si è introdotto materiale monouso per la detersione e la disinfezione di arredi, pavimenti e servizi igienici; si è instaurata la prassi della disinfezione quotidiana, con due interventi giornalieri, della stanza di degenza, attraverso l’impiego di cloro attivo PMC alla concentrazione di 2.000 ppm. Alla dimissione del paziente si è stabilito che la camera di degenza andasse disinfettata attraverso cloro attivo PMC alla concentrazione di 5.000 ppm, intervento seguito da ulteriore bonifica degli arredi e delle superfici pavimentate e orizzontali della camera di degenza mediante apparecchiatura a vapore secco (180°C). Si è attivato un più rigido sistema di controllo delle attività di pulizia, che ancora oggi viene eseguito attraverso una metodologia soggettiva basata sull’osservazione a occhio nudo del grado di igiene delle superfici, coadiuvata dall’uso della scala di Bacharach, del Bassoumetro, del Bioluminometro, dall’utilizzo, a volte, di Piastre di Cultura, per verificare le UFC. Il SIO ha anche sperimentato un nuovo programma di monitoraggio della corretta aderenza ai protocolli dell’igiene ambientale da parte degli operatori addetti al servizio, attraverso l’utilizzo di Markers fluorescenti. Il sistema è costituito da un gel per la marcatura fluorescente e da una penna UV: i dati raccolti vengono trasmessi via Wifi a un dispositivo portatile di archiviazione che, riversandoli in un software dedicato, permette un’analisi costante rispetto ad una baseline di confronto. A partire dal 2009 è iniziato, presso i quattro presidi ospedalieri, lo Studio Epidemiologico di Incidenza, con il monitoraggio dei nuovi casi di CDAD attraverso la segnalazione al SIO, la ricerca di tossine A e B da campioni biologici, la raccolta di dati epidemiologici con inserimento e archiviazione dei dati in un apposito Data Base, creato per l’occorrenza.Secondo i dati raccolti, l’incidenza media da CDAD, nei quattro presidi ospedalieri era pari all’1,21%, mentre presso due Unità Operative, che sarebbero state oggetto della sperimentazione introducendo l’utilizzo del sistema basato sul Perossido di idrogeno - “HyperDRYMist® Technology” -, l’incidenza media dei casi di CDAD Clostridium difficile-associated diarrhea era pari al 4,61%, valore rimasto pressoché invariato nei successivi anni 2010, 2011. Nel periodo gennaio-settembre 2012, presso le due Unità Operative il tasso fu pari al 4,68%. Tutto questo nonostante la piena implementazione delle misure previste dal nuovo protocollo di sanificazione adottato proprio dal 2009. Si imponeva la necessità di intervenire ulteriormente, sia per motivi etici legati alla sicurezza dei pazienti che andava assolutamente garantita, sia per una serie di considerazioni economiche, legate al prolungamento della degenza di pazienti affetti da CDAD, all’aumento dei costi generato dall’isolamento dei pazienti infetti e dalla sottoccupazione della stanza a due letti sino alla regressione della sintomatologia, nonché alla possibile diminuzione del rimborso DRG, causata da giornate di ricovero “fuori soglia”.
Il perossido d’idrogeno
Così, nell’ottobre del 2012, nelle due Unità Operative interessate dalla sperimentazione, venne implementato l’utilizzo della nuova tecnologia HyperDRYMist. La sperimentazione durò sei mesi, durante i quali vennero mantenute invariate tutte le procedure di detergenza precedenti, tranne che per la bonifica finale, per la quale si sostituì il metodo a vapore saturo riscaldato (180°C). Nel periodo ottobre 2012-marzo 2013, la disinfezione terminale delle stanze occupate da pazienti affetti da Clostridium difficile venne effettuata utilizzando il modulatore per perossido di idrogeno “HyperDRYMist® Technology “. La nuova procedura prevedeva l’impiego del sistema a base di Perossido di idrogeno “HyperDRYMist® Technology”: una tecnologia innovativa consistente nella micro-nebulizzazione (nebbia secca) di soluzione co-formulata a base di perossido di idrogeno e cationi dell’argento. L’erogazione di tale soluzione venne effettuata, previo breve training del personale dell’impresa di pulizie titolare dell’appalto di pulizie e sanificazione, al fine di intervenire tempestivamente per trattare le stanze di degenza dopo la dimissione e/o il trasferimento dell’utente affetto da Clostridium difficile. La procedura si attuava nella micro nebulizzazione di perossido di idrogeno in ambienti confinati, in assenza di pazienti e operatori, intervento effettuato dopo la fase di cleaning e disinfezione, mantenendo nella stanza le attrezzature e i presidi pluriuso. Il perossido di idrogeno innesca un meccanismo ossidante, che inattiva i microrganismi patogeni attraverso un radicale libero idrossile, che intacca la componente lipidica delle membrane oltre al Dna delle cellule dei batteri. I cationi dell’argento potenziano l’azione battericida nei confronti di batteri, virus, miceti e spore. Al termine dell’erogazione i radicali liberi del perossido di idrogeno si trasformano in ossigeno, per cui non rimane alcun residuo nell’aria dell’ambiente trattato.
Esecuzione tecnica
Per eseguire il trattamento si è proceduto alla chiusura delle bocchette di areazione e aspirazione del locale, si sono aperti gli sportelli di armadi e comodini presenti nella stanza, la cui porta di accesso è stata chiusa, e sulla sua facciata esterna è stato apposto un cartello di divieto di accesso con l’indicazione “trattamento di disinfezione in corso”. Il modulatore di HyperDRYMist® Technology è stato posizionato orizzontalmente su una superficie, a distanza di 1 m dalla parete ove si trovava la testata del letto e sono stati rimossi tutti gli ostacoli nel raggio di 1 m dall’ugello erogatore. Al termine del trattamento sono state liberate le bocchette di areazione e l’operatore ha potuto accedere alla stanza 35 minuti dopo l’inizio dell’erogazione, senza utilizzo di DPI. La stanza è risultata predisposta al riutilizzo in un tempo variabile tra i 20 e i 40 minuti. Si è proceduto alla rilevazione della presenza di sostanze organiche mediante misurazione della ATP prima della fase di cleaning, dopo la fase di cleaning e infine dopo il trattamento mediante HyperDRYMist® Technology.
Risultati
Con questo sistema di bonifica la percentuale di infezioni da Clostridium difficile presso le due unità soggette a sperimentazione si è ridotta dal 4,68% allo 0,22%, mentre la media registrata in tutte le altre Unità Operative è rimasta costante allo 1,21%. Il risparmio di tempo impiegato dagli operatori addetti le pulizie è risultato pari al 50%. Inoltre nei sei mesi successivi al termine della sperimentazione è stata attuata una ulteriore prova al fine di confermare la validità del sistema . Nelle due Unità Operative teatro della sperimentazione si è sospeso l’utilizzo della nuova tecnologia, reintroducendo l’utilizzo della bonifica finale mediante vapore saturo riscaldato (180° C), constatando che il rebound della percentuale di nuove infezioni di Clostridium difficile si è attestato al 4,69. «Non sempre i sistemi e i protocolli di disinfezione-decontaminazione tradizionali - spiega il dottor Marco Ferrari-riescono a garantire la massima efficacia nei confronti di ceppi MDROS di ultima generazione. Le spore del Clostridium difficile, per esempio, possono rimanere negli ambienti dai sei agli otto mesi se non correttamente eradicate; spesso inoltre è difficile garantire il corretto operato degli addetti al servizio di pulizia e sanificazione e il raggiungimento degli standard igienici attesi. Nel valutare quindi una nuova tecnologia bisogna tener conto di numerosi fattori, come garantire l’elevato livello di decontaminazione, completare e potenziare l’attività svolta dagli operatori addetti alla sanificazione, tenendo conto della criticità di intervento in ambienti sanitari ingombri di attrezzature. Il sistema basato sul Perossido di idrogeno “HyperDRYMist® Technology” consente di integrare tutti questi fattori. Sulla base dei risultati ottenuti pensiamo che la prevenzione e il controllo delle infezioni da Clostridium difficile sia un processo che debba essere validato dai sistemi aziendali, e debba essere integrato nei processi di qualità aziendale».

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