Un argomento che divide

 
Sono in via di definizione, da parte del Comitato di gestione nominato dal Ministero dell’Ambiente della Tutela del Territorio e del Mare, i Criteri Ambientali Minimi per l’affidamento del servizio di pulizia e sanificazione in ambienti ospedalieri e per la fornitura di prodotti detergenti e disinfettanti.
Per quanto riguarda i prodotti detergenti e disinfettanti, il dibattito è particolarmente acceso sull’utilizzo dei cosiddetti “probiotici”, ossia detergenti biologici che contengono microrganismi, già peraltro utilizzati nelle attività di biorisanamento ambientale per la pulizia di impianti industriali, per il trattamento delle acque reflue, per la deodorizzazione eccetera.  La novità, che ha innescato la discussione e che è tuttora in atto, è la proposta di utilizzare tali detergenti biologici anche in ambito ospedaliero, sulla base di un esperimento effettuato presso l’ospedale San Giorgio di Ferrara e avallato da uno studio condotto dall’Università di Ferrara. Per potere decidere con cognizione di causa, sono stati interpellati esperti e la società scientifica Simpios, (Società Italiana per la prevenzione delle infezioni nelle organizzazioni sanitarie), chiamata in causa, ha chiesto uno studio al professor Gaetano Privitera, Ordinario di Igiene, Specialista in Malattie Infettive, Specialista in Microbiologia Medica, Dipartimento di Ricerca Traslazione NTMC presso l’Università di Pisa e UO Igiene ed Epidemiologia/UO Rischio Clinico e Sicurezza del Paziente presso l’Azienda Ospedaliera Universitaria Pisana, che ha redatto una relazione dettagliata. A fronte della posizione di Simpios, discussa in seno al Comitato, si pone quella di ANMDO (Associazione Nazionale dei Medici delle Direzioni Ospedaliere), nella persona del suo Presidente, Gianfranco Finzi, che guarda con favore all’utilizzo dei probiotici nelle attività di sanificazione ospedaliera. Riportiamo le due posizioni. PROBIOTICI NON ANCORA Per conto di Simpios, il professor Gaetano Privitera scrive: «Esiste attualmente la tendenza da parte di alcuni produttori a sviluppare detergenti contenenti probiotici, promossa anche da un orientamento verso l’impiego di prodotti con un minor impatto ambientale e sostenuta dalle raccomandazioni europee-internazionali sul green-procurement. Tali prodotti sono stati fino a oggi validati e impiegati al fine di effettuare una azione di “bio-remediation”, o biorisanamento, ovvero l’utilizzo di sistemi biologici con l’obiettivo di ridurre l’inquinamento dell’aria, delle acque o del suolo. In particolare vengono impiegati a tale fine piante o microrganismi per eliminare attraverso l’azione metabolica da loro esplicata, sostanze inquinanti tossiche, quali per esempio fenoli, benzene, toluene, olii, idrocarburi, che sono degradate e convertite in metaboliti innocui, quali anidride carbonica e acqua. La bio-remediation va quindi a sfruttare le differenti vie metaboliche dei microrganismi, in particolare di quelli che sono in grado di metabolizzare sostanze inquinanti per bonificare l’ambiente. il suo scopo è dunque quello di eliminare le sostanze inquinanti in modo naturale, con un basso impatto ambientale e offrendo una valida alternativa ai metodi tradizionali di rimozione dei contaminanti che non risultano sempre efficaci oltre a essere particolarmente costosi. I prodotti basati sui principi sopra descritti possono trovare applicazione in: • Pulizia di impianti industriali • Trattamento delle acque reflue • Abbattimento del carico organico • Deodorizzazione Per quanto riguarda l’uso domestico, prodotti contenenti microrganismi vengono proposti a una fascia di consumatori particolarmente sensibile agli aspetti ambientali, per la pulizia di superfici inanimate, essenzialmente dei servizi igienici, e per la eliminazione dei cattivi odori. Confusione nei termini Ben diversi sono i presupposti teorici, per altro non dimostrati, all’impiego di miscele di microrganismi viventi, deliberatamente disseminati su superfici di strutture sanitarie nel tentativo di ridurre la disponibilità di spazio ecologico a microrganismi patogeni attraverso un approccio basato sulla “esclusione competitiva”. Definire tali microrganismi come “probiotici” è innanzitutto assolutamente inappropriato dal punto di vista terminologico. Sono definiti probiotici “organismi viventi in grado di esercitare, se ingeriti in una certa quantità, effetti benefici per la salute dell’organismo al di là del loro effetto nutritivo intrinseco”. Il loro effetto si esplica, quindi, all’interno del micro bioma associato alle cavità naturali dell’uomo o degli animali. Nell’intestino umano alcuni ceppi batterici probiotici possono svolgere infatti un’azione antagonista/protettiva nei confronti di batteri potenzialmente patogeni, legata a una serie di meccanismi, ipotizzati più che dimostrati, quali la competizione per recettori e substrati metabolici e la produzione di sostanze antimicrobiche. Tale termine appare dunque inappropriato in questo ambito, poiché si tratta di superfici inanimate, dove gli equilibri delle flore microbiche sono soggetti a ben altre dinamiche. Le evidenze su una possibile competizione tra “probiotici” contenuti in preparati detergenti, con microrganismi normalmente presenti sulle superfici inanimate da sanificare sono limitate a un paio di pubblicazioni recenti pubblicate dal medesimo gruppo di sperimentatori e a oggi né verificate, né confermate da altri gruppi indipendenti di ricercatori. Tali studi appaiono inoltre sottoscritti e supportati da autori che rappresentano specifici portatori di interessi commerciali. Uno studio poco attendibile In particolare, uno studio italiano-belga di Vandini et al. (2014), che prevede l’impiego di un prodotto sanificante probiotico in ambito nosocomiale, applica il concetto di controllo biologico al contesto delle superfici inanimate di strutture sanitarie. È stato testato un prodotto sanificante contenente spore di batteri della specie Bacillus (Bacillus subtilis, Bacillus pumilus, Bacillus megaterium), nel tentativo di ridurre lo spazio ecologico a disposizione dei microbi patogeni attraverso un approccio di esclusione competitiva. In particolare lo studio confronta un detergente probiotico con i trattamenti tradizionali a base di detergenti /disinfettanti chimici; la soluzione testata contiene 1% di spore batteriche in associazione con surfattanti ionici (0,6%), anionici (0,8%) ed enzimi (amilasi 0,02%). Il disegno dello studio è molto ambizioso, con più di 20.000 campioni di superfici raccolti in tre ospedali. Allo stesso tempo, appare disordinato e confuso con diversi protocolli di campionamento e intervento. Le modalità di applicazione e i protocolli di campionamento nei centri partecipanti sono disomogenei e non è stato applicato alcuno schema di randomizzazione alle aree da trattare con i prodotti messi a confronto. A prima vista i risultati possono apparire notevoli, poiché le aree trattate con i detergenti probiotici avevano una minore probabilità di essere contaminati da Staphilococcus aureus, Pseudomononas spp., coliformi e Candida albicans; risulta però difficile determinare l’entità di tale riduzione in quanto viene riportata una riduzione percentuale (oltre l’80%), ma non effettive riduzioni della carica batterica in senso assoluto. Il gradiente di efficacia che distingue prodotti e/o presidi impiegati con diverse finalità (per es. un sanitizzante rispetto a un disinfettante) è espresso usualmente su base logaritmica (n log=base 10 alla ennesima potenza) per misurare l’azione esercitata nei confronti standard da saggiare. Considerando che per la sanificazione è richiesto un parametro minimo di efficacia di riduzione di almeno 2-3 log corrispondenti all’inattivazione del 99%-99,9% dei microrganismi, il risultato riportato nello studio appare insufficiente e notevolmente inferiore a quello che si esige dai prodotti sanificanti o disinfettanti a composizione chimica usualmente impiegati. Considerando quindi l’innacurato disegno dello studio, la discutibile metodologia statistica, la mancanza di adeguati controlli, le metodiche seguite per il campionamento ambientale e i piccoli, non significativi, effetti riportati, non è possibile, allo stato attuale dell’evidenza sperimentale disponibile, trarre alcuna conclusione circa l’effetto esercitato da tali preparati. In tale senso peraltro si è recentemente espresso il Department of Health inglese su una istanza di valutazione del medesimo o omologo preparato prodotto dalla ditta Chrisal: “Insufficient clarity/evidence presented to enable full review of the product” “Insufficient evidence was provided to reassure the panel of the safety or efficacy of this selective use surface cleaner”. Le criticità Dall’analisi di questo studio, a nostro avviso, sono emerse anche altre criticità: • L’ipotesi dell’utilizzo dei detergenti probiotici è sostenuta da un unico gruppo di ricercatori, senza conferme da parte di altri centri e la letteratura è limitata. • Il prodotto non è costituito esclusivamente da batteri, quindi non possiamo affermare con assoluta certezza che l’effetto sanificante sia da essi determinato; inoltre, la mancanza di una precisa conoscenza della composizione della preparazione non consente di effettuare un’adeguata valutazione del rischio. • Come è stato ampiamente dimostrato dalla letteratura, quasi tutti i microbi possono essere patogeni per pazienti immunocompromessi; inoltre, sappiamo quello che “andiamo a immettere”, ma non “cosa diventerà” una volta esposto alla pressione selettiva degli ospedali. Gli autori hanno preso in considerazione questo aspetto attraverso procedure di verifica della sensibilità all’azione dei più comuni antibiotici da parte dei ceppi di Bacillus spp. presenti sulle superfici sanificate, verso i quali i batteri non mostrano resistenze. Tuttavia, non sono stati effettuati test di tipo molecolare mediante analisi PCR (ancora in via di sperimentazione) per accertare eventuali acquisizioni di caratteri di virulenza e/o resistenza non compresi negli antibiogrammi di routine. Non è escluso che con l’uso prolungato di tali preparati le resistenze possano in futuro instaurarsi. • Creare ambiente ricco di batteri “probiotici” potrebbe determinare una effettiva riduzione della sopravvivenza sulle superfici dei batteri patogeni, oppure semplicemente mascherarne la presenza; pochissimo è attualmente noto sulla biologia dei biofilm che sappiamo si possono formare anche su superfici inanimate asciutte. • Gli autori spiegano la riduzione percentuale della carica batterica con meccanismi di competizione per i nutrienti e produzione di sostanze microbicide da parte di spore di Bacillus che germinano sulle superfici dove vengono immesse. È possibile ipotizzare, tuttavia, che queste restino spore e che la riduzione della carica microbica, ammesso che sia stata effettivamente dimostrata, sia determinata semplicemente da occlusione e competizione per lo spazio. • I comitati etici interpellati hanno dichiarato che non era necessaria una autorizzazione formale poiché i prodotti probiotici non sarebbero somministrati direttamente ai pazienti, ma semplicemente utilizzati per la sanificazione delle superfici. Tuttavia, introdurre una miscela contenente Bacilli nella stanza del paziente può essere quasi considerata la stessa cosa. • Gli autori insistono nel chiamare tali prodotti probiotici, termine che appare fuori luogo, poiché implica un prodotto che viene somministrato al paziente. Partendo dal principio che in ambito sanitario è auspicabile l’eliminazione o per lo meno una cospicua riduzione della carica dei microrganismi potenzialmente patogeni, possiamo affermare che l’uso dei detergenti in discussione offrirebbe, se confermato, la possibilità di un approccio alternativo. Tuttavia, in una logica di minimizzazione dei rischi, sarebbe preferibile che il paziente venisse curato in un ambiente con livelli minimi di contaminazione batterica totale, piuttosto che contaminato da microrganismi differenti, seppure dotati di minore potere patogeno. Rischi possibili Anche se applicati su superfici di ambienti sanitari a basso rischio, esiste la concreta possibilità che i microrganismi impiegati in questi prodotti si diffondano al di fuori da tali aree, anche in reparti che ospitano pazienti immunocompromessi o comunque fragili, con il rischio di determinare, seppure in rari casi, complicanze infettive. In particolare, questo è stato riportato per preparati a base di probiotici che hanno dimostrato avere una buona adesione alla mucosa intestinale, elemento fondamentale per il loro meccanismo d’azione. Da diversi studi è emerso che l’adesione alla mucosa può però aumentare la traslocazione batterica e la virulenza, quindi la patogenicità, soprattutto in pazienti con preesistente patologia intestinale. Sono stati segnalati casi di sepsi correlati al consumo di probiotici contenenti ceppi di Lactobacillus (Adams et al, 1995). Rautio et al (1999) ha riportato un caso di una donna diabetica di 74 anni che ha sviluppato un ascesso epatico e una polmonite quattro mesi dopo l’inizio della supplementazione giornaliera con Lactobacillus. Lesti et al (2003) ha descritto l’insorgenza di insufficienza multi organo in una donna di 48 anni, anch’essa diabetica, con diarrea da C. difficile trattata con supplementi probiotici. Particolarmente significativa è la segnalazione di Cassone (J Clin Microbiol, 2003), che ha descritto un focolaio epidemico di infezioni ematiche dal micete Saccharomyces cerevisiae Subtype boulardii in pazienti ricoverati in prossimità di altri soggetti trattati con una preparazione probiotica di tale microrganismo. Lo studio dimostra quindi l’acquisizione di infezioni gravi da un microrganismo probiotico mediato dalla contaminazione ambientale dello stesso in soggetti non trattati. Per quanto concerne Bacillus subtilis, presente nel detergente in esame, è stato dimostrato che, oltre a produrre diversi enzimi, induce la sintesi di una tossina extracellulare nota come subtilisina. Sebbene essa abbia basse proprietà tossinogeniche (Gill, 1982), è in grado di causare reazioni allergiche in individui che vi sono ripetutamente esposti. Sensibilizzazione alla subtilisina è stata riportata negli addetti agli impianti di fermentazione, nei quali è più facile si verifichi una esposizione a concentrazioni elevate. Tali limiti sono regolati dalla “Occupational Safety and Health Administration (OSHA) (29 CFR 1900, et seq.). Dermatite e distress respiratorio si sono verificati in soggetti facenti uso di prodotti detergenti per il bucato a base di molecole, compresa la subtilisina, prodotte dal suddetto batterio (Norris et al., 1981). Già in passato Logan (1988) cita casi di infezione da Bacillus subtilis che includono un caso di endocardite in un paziente tossicodipendente per via endovenosa, polmonite fatale e batteriemia in tre pazienti leucemici, setticemia in due pazienti con cancro al seno. Il medesimo articolo riferisce anche l’isolamento di B. subtilis da ferite chirurgiche, da un ascesso sub frenico, da una protesi mammaria e da due infezioni su shunt atrio-ventricolare. Il probiotico risulta implicato inoltre in numerosi casi di intossicazione alimentare (Gilbert et al., 1981; Kramer et al., 1982; Logan, 1988). Criterio di precauzionalità Dunque, i microrganismi considerati non risultano essere patogeni franchi per l’uomo, ma presentano comunque una potenziale elevata pericolosità in pazienti con sottostante compromissione immunitaria, malattie croniche e comorbosità. Ulteriore nota di precauzione alla contaminazione deliberata a fine di sanificazione dell’ambiente con spore di batteri del genere Bacillus è determinata dalle difficoltà che si avrebbero nella valutazione del rischio in caso di atti di bioterrorismo con spore di Bacillus antracis, per le difficoltà che si incontrerebbero nella distinzione con metodiche microbiologiche tradizionali della presenza di tale pericoloso patogeno dalla contaminazione con altre specie. Per quanto enunciato sopra, si manifestano forti perplessità sull’inserimento di tali prodotti detergenti all’interno di un documento ufficiale quali il Piano d’Azione Nazionale sul Green Public Procurement (paragrafo 4.3.4), considerando l’assenza di una validazione sperimentale inoppugnabile da parte della comunità scientifica. In queste circostanze, un atteggiamento eticamente corretto appare, a nostro parere, quello di adottare il “principio di precauzione” e di procrastinare l’introduzione di tali prodotti nella sanificazione sanitaria, nell’attesa di ulteriori evidenze di efficacia e di sicurezza dei prodotti anche per le fasce più fragili di soggetti potenzialmente esposti». PROBIOTICI, PERCHÉ NO? Gianfranco Finzi, Presidente ANMDO, scrive: «In relazione alla possibilità di utilizzare detergenti contenenti microrganismi a medio e basso rischio, si dovrebbe valutare esclusivamente l’efficacia di questi prodotti e la consequenziale salubrità degli ambienti sottoposti a questo tipo di sanificazione. Finora l’efficacia è stata dimostrata da uno studio pubblicato a livello internazionale dai ricercatori dell’Università di Ferrara, nel quale si evidenzia una riduzione della popolazione potenzialmente patogena dovuta a fenomeni di competizione biologica. Oltre a non essere presenti evidenze scientifiche che confutino quanto sostenuto dai sopracitati autori, numerosi altri prodotti contenenti microrganismi sono utilizzati in differenti ambiti con ottimi risultati riportati in diverse pubblicazioni scientifiche. Credo pertanto che prodotti contenenti microrganismi possano essere utilizzati con la medesima efficacia su ogni tipo di biofilm, anche su quelli che si possono formare su superfici asciutte. L’azione pulente, oltre a essere svolta dai microrganismi additivati dal prodotto, è garantita dal tensioattivo che è comunque presente nel detergente. Le caratteristiche del tensioattivo devono rispettare gli standard fissati per legge e indicati anche nell’allegato A del testo sui Criteri Ambientali Minimi. Per quanto riguarda la sicurezza, penso sia doveroso attenersi a quanto già indicato nella normativa sul rischio biologico da esposizione ad agenti patogeni e nella normativa relativa alla sicurezza alimentare. Le Direttive e le Istituzioni Nella Direttiva 200/54/CE [www.amblav.it/download/AgentiBiologiciNuovaDirettiva(FonteComunitaEuroea).pdf], relativa alla protezione dei lavoratori contro i rischi derivanti da esposizione ad agenti biologici, vengono classificati i microrganismi in base alla probabilità di causare malattie nell’uomo. Nell’elenco allegato alla direttiva sono indicati gli agenti biologici di cui è noto possano provare malattie in soggetti umani. Come garanzia di sicurezza, i microrganismi utilizzati nei prodotti detergenti non dovranno rientrare in questa lista. Indicazioni ancora più stringenti a livello normativo sono relative al campo alimentare; se alcuni tipi di microrganismi vengono ritenuti sicuri se ingeriti, potranno essere ritenuti sicuri anche se utilizzati per la sanificazione. In tal senso si possono recepire sia le indicazione fornite dall’EFSA “Autorità Eurpoea per la Sicurezza Alimentare”, il cui comitato scientifico ha redatto l’elenco degli agenti biologici candidati allo status id QPS , “Presunzione Qualificata di Sicurezza” (www.efsa.europa.eu/it/efsajournal/doc/3938.pdf), sia la Linea Guida su Probiotici e Prebiotici del Ministero della Salute (www.salute.gov.it/imgs/C_17_pubblicazioni_1016_allegato.pdf). Sanificazione sicura Questa premessa evidenzia che la legislazione non vieta l’utilizzo di particolari tipi di microrganismi ritenuti sicuri. Pertanto si ritiene sicura anche la sanificazione delle superfici con le medesime classi di microrganismi. L’uso di detergenti contenenti microrganismi, in via cautelativa, è comunque indicato per ambienti a medio e basso rischio e non in aree con pazienti immunocompromessi. L’eventuale ipotesi di colonizzazione di altri ambienti, a parte quelli dove sono stati applicati con le operazioni di sanificazione, è improbabile, perché, a differenza dei miceti, la cui colonizzazione avviene per via aerea, i microrganismi restano sulle superfici e, se non trovano fonte di nutrimento, rimangono quiescenti; inoltre, va considerato che negli ambienti sottoposti a detersione/disinfezione tradizionale i microrganismi vengono rimossi. Due pesi e due misure? Se si ritiene che l’utilizzo di microrganismi non sia idoneo per la pulizia delle superfici, a maggior ragione la presenza delle medesime classi di microrganismi nei cibi dovrebbe essere vietata. Se si vuole procedere con questa logica, si dovrà intervenire a livello legislativo, modificando la lista EFSA sulla sicurezza alimentare e modificando la Linea Guida del Ministero della Salute su Probiotici e Prebiotici (ciò però potrebbe causare l’uscita dal mercato di molti prodotti alimentari). Più ragionevolmente, visto che i microrganismi sono già utilizzati da molti anni in molti campi, viste le prospettive, sia sulla riduzione dell’impatto ambientale, sia sulla loro efficacia, ci si dovrebbe porre in un’ottica di apertura, provvedendo a normarli adeguatamente. Questione di termini? Per quanto riguarda il lessico, il CDC di Atlanta, nel tentativo di regolare e valutare l’efficacia dei probiotici, suggerisce di comprendere anche altre sub-categorie, ampliando di fatto la definizione classica di probiotico (www.nc.cdc.gov/eid/article/16/11/pdfs/10-0574.pdf). Che esistano sul mercato già altri prodotti rispetto a quelli a uso alimentare è un dato di fatto; se la definizione di probiotico non potrà essere estesa, sarà possibile comunque creare una definizione differente che li identifichi. L’importante è che rispondano ai requisiti di sicurezza definiti per legge. In alternativa, si potrebbe pensare a una definizione che sia incentrata su un concetto “ecologico”, facendo pensare a un effetto benefico per l’ecosistema o micro-sistema. Si potrebbe, per esempio, definirli PROBIOTI (pro: a favore di + biota: insieme degli organismi – vegetali, animali eccetera – che occupano un determinato spazi». COME ANDRÀ A FINIRE? La questione è quanto mai aperta. Le posizioni sono contrapposte. Ambedue perseguono il nobile scopo di rendere l’ambiente ospedaliero più “sano” possibile, in tutti i sensi. Il luogo del dibattito per ora è il Ministero dell’Ambiente. Ma, tra i componenti del Comitato di gestione ci pare manchi il Ministero della Salute, il cui parere potrebbe essere dirimente. C’è da aspettarsi che si pronunci in merito? foto di_fotolia.com luglio/agosto 2015 Noemi Boggero in collaborazione con Marco Ferari Dossier CAM Ospedalieri Dossier CAM Ospedalieri luglio/agosto 2015 green public procurement luglio/agosto 2015 Dossier CAM Ospedalieri Dossier CAM Ospedalieri luglio/agosto 2015 green public procurement

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