Il Regolamento UE 1169/2011 ha rivoluzionato, se così si può dire, l’attenzione posta nei confronti delle etichette dei prodotti alimentari e delle informazioni fornite ai consumatori. A distanza di qualche anno dalla sua emanazione però restano ancora alcuni punti incompiuti, come per esempio la specifica del “Paese di origine o il luogo di provenienza” (art.26 del Reg. 1169/2011). In assenza degli atti esecutivi proposti dal Legislatore UE, il Legislatore italiano, e quindi il Governo, ha dato ascolto alle numerose richieste di approfondimento da parte principalmente delle associazioni di categoria. A livello nazionale, quindi, si arriva, in questi ultimi anni, all’emanazione di decreti legislativi e indicazioni ministeriali necessarie a delineare in maniera più precisa, per alcuni prodotti alimentari, quegli aspetti che il Regolamento europeo aveva lasciato incerti. In questa maniera si cerca di assolvere al meglio al compito di garantire la massima trasparenza al consumatore che, al momento dell’acquisto, avrà sempre più informazioni per poter attuare una scelta consapevole. Vediamo nel dettaglio quali indicazioni sono state, via via rese obbligatorie in etichetta oltre quelle già note, capiamo quali alimenti sono coinvolti e, in ultimo, diamo uno sguardo all’ultimo arrivato tra i decreti legislativi “chiarificatori” che finalmente scioglie, forse, i dubbi sulla questione della sede e dello stabilimento di produzione.Origine dei prodotti alimentari: il caso di latte e latticini, pasta, riso e pomodoroIndicazioni da riportare in etichetta per i prodotti lattiero-caseari.A gennaio del 2017 è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale il decreto sull’obbligo di indicare in etichetta l’origine del latte utilizzato nei prodotti lattiero-caseari. Il decreto si applica agli alimenti pre-imballati realizzati in Italia e destinati al commercio italiano, escludendo tutti quei prodotti che seguono altre normative o disciplinari come i DOP, IGP o i prodotti biologici. Il decreto quindi si applica a latte fresco o a lunga conservazione indifferentemente dal fatto che sia vaccino, ovo-caprino, bufalino, d’asina, ecc.; ai formaggi, ai latticini e cagliate; alla crema di latte (concentrate o meno, con zucchero o meno); al latticello, latte e crema coagulata, kefir e altri tipi di latte e creme fermentate o acidificate (concentrate o meno, con zucchero o meno, aromatizzate o meno); al siero di latte (concentrato o meno, con zucchero o meno); ai prodotti costituiti da componenti naturali del latte; al burro e altre materie grasse e alle creme lattiere spalmabili. L’origine quindi dovrà essere indicata citando sia il Paese di mungitura sia quello di condizionamento e di trasformazione. Se tutte le fasi avvengono sullo stesso territorio nazionale si potrà optare solo per la dicitura “origine del latte” e, in alternativa, in base al caso, si utilizzerà la frase “miscela di latte di Paesi UE/non UE” o “latte condizionato o trasformato in Paesi UE/non UE”. Vista la complessità e vastità del mercato legato al latte e ai suoi derivati il Ministero ha pubblicato delle linee guida, via via aggiornate, con l’intento di chiarire punti e dubbi sulle modalità di applicazione del decreto. A ogni modo, così come per le altre indicazioni, obbligatorie in etichetta è necessario che anche queste siano chiare, non fraintendibili, posizionate nel campo visivo principale, evidenti e indelebili.Indicazioni da riportare in etichetta per i prodotti che contengono grano duro e per il riso.Nel mese di luglio 2017, a seguire, è stato emesso anche il decreto ministeriale inerente all’obbligo di indicare l’origine del grano duro impiegato per la produzione di “paste alimentari”. In questo caso la disciplina si applica esclusivamente alla pasta di grano duro e non ad altri tipi di pasta o di prodotti in cui il grano sia stato utilizzato solo come ingrediente. Viene introdotto l’obbligo di indicare l’origine del “grano duro”, specificando il “Paese di coltivazione del grano” e il “Paese di molitura”. Quasi in tandem con il decreto per la pasta è stato emesso anche quello inerente agli obblighi da riportare in etichetta per il riso. L’origine del riso deve quindi essere specificata aggiungendo il “Paese di coltivazione del riso” e cioè il Paese nel quale è stato coltivato il risone; il “Paese di lavorazione” e cioè il Paese nel quale è stata eseguita la lavorazione e/o la trasformazione del risone; e il “Paese di confezionamento” e cioè il Pese nel quale il riso è confezionato.Indicazioni da riportare in etichetta per i prodotti derivati del pomodoro.A febbraio 2018 è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale il decreto interministeriale di novembre 2017 che prevede l’obbligo di indicare in etichetta l’origine per i derivati del pomodoro. L’ultimo arrivato ripercorre un po’ quello che è già stato visto nei prodotti delle altre categorie merceologiche. L’intesa tra il Ministero dello Sviluppo economico e quello delle Politiche agricole alimentari e forestali produce, infatti, il provvedimento che obbliga l’indicazione in etichetta dell’origine del pomodoro nei prodotti come le conserve e i concentrati di pomodoro ma anche nei sughi e nelle salse che sono composte per almeno il 50% da derivati di pomodoro. Viene richiesto di introdurre in etichetta il “Paese di coltivazione” e il “Paese di trasformazione” del pomodoro, inserendo il nome del Paese in cui il pomodoro viene coltivato e il nome del Paese in cui il pomodoro viene trasformato. Qualora queste fasi avvengano in più paesi europei si utilizzerà una di queste diciture: Paesi UE, Paesi non UE, Paesi UE e non UE. Quando invece tutte le fasi vengono svolte in Italia la dicitura corretta da utilizzare in etichetta è “origine del pomodoro: Italia”. Anche queste informazioni devono essere poste in un punto evidente dell’etichetta, facilmente leggibile e indelebile. A corollario di queste nuove introduzioni, il Legislatore ha predisposto anche un piano sanzionatorio di tipo amministrativo che prevede una sanzione pecuniaria minima di euro 1.600 fino a un massimo di euro 9.500 per chi, superati i tempi concessi, non si adegua alle nuove disposizioni.Indicazione della sede dello stabilimento di produzione: una storia infinitaNel fermento di queste nuove indicazioni, però il Legislatore ci tiene a fare chiarezza anche su un altro aspetto: l’obbligo di inserimento dello stabilimento di produzione e di confezionamento in etichetta. È stato infatti emesso anche il decreto legislativo n.145 del 15 settembre 2017 che si applica a partire dal 5 aprile 2018 e che riguarda l’indicazione obbligatoria in etichetta della sede e dell’indirizzo dello “stabilimento di produzione o, se diverso, di confezionamento”. Il campo di applicazione del decreto è ristretto principalmente al “made in Italy” e cioè agli alimenti preimballati fabbricati e/o confezionati in Italia e destinati alla vendita esclusivamente sul mercato nazionale, mentre non si applica ai prodotti italiani destinati a essere commercializzati all’estero. Così come per le altre indicazioni finora considerate e, così come accade per tutte le indicazioni obbligatorie, anche la sede dello stabilimento di produzione o confezionamento dovranno seguire i requisiti di leggibilità previsti, dovranno quindi essere inseriti nel campo visivo principale, facilmente leggibili, evidenti e indelebili. La sede dovrà essere identificata dall’indirizzo e dalla località in cui si trova lo stabilimento di produzione o confezionamento, ma può essere omessa se la sede coincide con quella dell’operatore responsabile dell’informazione al consumatore o se l’etichetta contiene il marchio di identificazione/bollo sanitario o se ancora la sede è contenuta nel marchio con cui il prodotto viene commercializzato. La tolleranza permette di commercializzare fino a esaurimento scorte i prodotti con etichette non conformi immessi sul mercato o confezionati prima del 5 aprile 2018. Dopo di che l’omissione della sede dello stabilimento in etichetta prevedendo una sanzione amministrativa pecuniaria che va da 2.000 a 15.000 euro.* Consulente per l’HACCP