Oggi mi ritrovo a riflettere di frequente sui fattori che determinano la sopravvivenza, lo sviluppo, il successo di un’impresa.
E sono convinto che le rigorose tecniche del tradizionale marketing operativo abbiano segnato il loro tempo: vale a dire che la qualità del prodotto, un prezzo corretto, e un’immagine accattivante non sono più sufficienti a coinvolgere e convincere il cliente a un acquisto. Nutro qualche dubbio anche sull’efficacia di una giusta scelta distributiva, giacché da troppo tempo ormai si è costretti a utilizzare tutti i possibili canali che un mercato offre: è probabile che in quest’area la differenza stia nell’efficacia della logistica, che determina tempi e modi del servizio. Le persone sono decisive, questo sì: il patrimonio di valori e di esperienze, aggiunto alla capacità e allo stile di comunicarli, può orientare le scelte. Le imprese sono riluttanti a investire nella formazione dei loro collaboratori, anche perché i tempi di un percorso formativo sono sempre lunghi e tutte le organizzazioni hanno fretta. Per questo le grandi aziende si sono orientate a proporre iniziative centrate sulle emozioni e premono altrettanto fortemente sui percorsi motivazionali, che in realtà in genere sono forme di incentivazione, tutte orientate a ottenere risultati di crescita del fatturato o di riduzione dei costi. Si dà quindi valore a ciò che le persone producono e non alle persone in quanto potenziale concreto, e la conferma che ne abbiamo sta nel fatto che nessuna azienda valorizza nel suo stato patrimoniale il cosiddetto capitale umano: è capitale a parole ma non nei fatti.
Valori poco (o non) riconosciuti e sfruttati
Un altro aspetto importante da considerare riguarda il valore del marchio di un’impresa: è un bene immateriale che racchiude in sé la promessa, la storia, l’identità di un’organizzazione. Per le grandi aziende il valore del marchio è una voce specifica del bilancio, che riguarda i beni immateriali che contribuiscono a rimpolparne il patrimonio; per le piccole imprese invece è a fatica un esercizio grafico, che spesso rappresenta solo un costo. Fatto sta che difficilmente esiste una consapevolezza del valore finanziario di un marchio, e questo significa che di conseguenza non si dà valore alla propria identità e alla propria storia, che si lega con la mancata valorizzazione delle persone: esiste una concomitanza fra il riconoscimento del potenziale delle persone e il potenziale del marchio. Il comune denominatore è, a mio parere, la questione dei valori, non del valore. Non si tratta di un gioco di parole ma di una corretta interpretazione del significato di valori, che dal mio punto di vista è un insieme di storie, regole, fatti, tradizioni, miti, figure caratteristiche, luoghi, sapori, colori, clima, architettura, arte, depositi di memoria, e soprattutto oggetti, manufatti. Attorno a queste variabili si costruisce uno stile, un senso comune, un comportamento atteso e soprattutto un forte senso di appartenenza: mi piace chiamarla identità. Questo vale per le persone e vale per le aziende: essere diversi dagli altri, essere unici è un’opportunità, l’elemento distintivo dalle altre comunità e dalle altre imprese. E allora perché non dichiararlo con forza? Si tratta di una variabile decisiva del marketing moderno, questo aspetto è da sempre stato un vantaggio competitivo: basta chiederlo alle aziende e alle famiglie che hanno costruito le loro fortune nei distretti industriali, profondamente radicati in territori specifici e circoscritti. Il territorio quindi è un vero e proprio patrimonio che sintetizza persone e imprese, che devono imparare a stabilire un corretto rapporto con l’energia e le potenzialità di luoghi che esso esprime. Una vera e propria forte variabile di marketing, in grado anche di unire o ri-unire le generazioni: i padri negli anni scorsi hanno “venduto” il Made in Italy, i figli hanno la possibilità di “vendere” le loro valli, le loro colline, montagne, coste, ma soprattutto i loro borghi, le loro vicende e narrazioni.
La ricchezza delle nostre radici
Un cliente che compera un prodotto, un qualsiasi prodotto, nel momento in cui lo utilizza deve poter assaporare o ricordare colori, emozioni e caratteristiche del territorio di provenienza e, inoltre, deve pretenderne la garanzia di provenienza. Per questo motivo tutti devono adoperarsi per progettare e immaginare la “salute” del proprio ambiente e del proprio “mondo”: questo, se vogliamo, è un modo per pensare alla sostenibilità, una possibilità di esserci, al meglio, anche domani. È un vero e proprio comportamento, uno stile, con cui fare e proporre le cose: un valore che le diverse generazioni di imprenditori, collaboratori e clienti possono utilizzare creando e impiegando un indotto che può coinvolgere tutta la filiera di relazioni necessarie a realizzare queste caratteristiche distintive. E quando i valori di un gruppo o di un’organizzazione diventano valore aggiunto — e quindi valore spendibile e acquistabile — il cerchio dello sviluppo e del consolidamento dei patrimoni si chiude: sta a noi decidere o meno di scriverlo sul nostro bilancio personale o su quello delle nostre famiglie e imprese.