Gli autori dello studio fanno parte dell’Università degli Studi di Milano, dell'Istituto nazionale di astrofisica e dell' Istituto nazionale dei tumori. A definire l’efficacia dei raggi ultravioletti nei confronti del Covid è stato l'utilizzo di lampade a raggi Uv di tipo C, tipologia di raggi che non arriva sulla Terra perché bloccata dall’atmosfera.Nell’esperimento sono state posizionate sotto le lampade gocce di liquido contenenti Sars-CoV-2, per simulare i droplets emessi da una persona infetta. Sono state valutate differenti dosi di virus, e in tutti tre i casi la carica virale è stata inattivata in pochi secondi al 99,9% da una piccola quantità di raggi UvC.Inoltre, lo stesso esperimento è stato effettuato con i raggi UvA e UvB, che arrivano invece sulla superficie terrestre. I risultati sono molto simili, ma ancora in fase di preparazione e per il momento non disponibili per la comunità scientifica. Alla luce di questi risultati, si è cercato di determinare, raccogliendo dati sulla quantità di raggi solari in 260 Paesi, l'esistenza di una correlazione tra irraggiamento solare e epidemiologia di Covid-19, ed è apparso evidente come ad una minore quantità di raggi UvA e UvB, corrisponda un maggior numero di infezioni. Questo potrebbe spiegare perché in Italia, ora che è estate, i casi sono diminuiti in quantità e gravità, mentre alcuni Paesi nell’altro emisfero stanno affrontando ora il picco.Questo studio ribadisce quindi l'efficacia delle lampade a raggi Uv per la disinfezione dei luoghi chiusi: la quantità di raggi emanati dai dispositivi potrebbe disinfettare, con quantità minime di Uv e in tempi brevi, luoghi come cinema, negozi, uffici e scuole. Va comunque ricordato che queste lampade sono indicate per la disinfezione di ambienti e oggetti, e non devono essere utilizzate sulle mani o altre aree della pelle.