di Teresa Petrangolini, Direttore “Patient Advocacy Lab” - ALTEMS Università Cattolica del Sacro CuoreLa pandemia COVID 19 ha in qualche modo “sdoganato” la telemedicina, tema di cui si parlava – e poco praticava – da circa vent’anni e che oggi è diventata questione quanto mai attuale. E ne parlano anche i pazienti, come dimostra una ricognizione realizzata in piena emergenza nel novembre 2020. L’indagine “La sanità del futuro: i messaggi delle associazioni di pazienti per l’epoca Covid-19” (), condotta dal Patient Advocacy Lab (PAL) di ALTEMS - Università Cattolica del Sacro Cuore, presenta il quadro delle aspettative che le associazioni hanno espresso dopo mesi e mesi di impegno accanto a malati cronici e fragili, per lo più privati di supporto e assistenza da un servizio sanitario concentrato sul COVID 19. Sono esse stesse ad indicare l’uso della telemedicina (dal teleconsulto alla televisita, dalla telecollaborazione alla telerefertazione) come una delle nove priorità di un servizio sanitario rinnovato, che fa tesoro della lezione del COVID e guarda al futuro verso una umanizzazione 2.0 delle cure. Le aspettative dei pazienti per l’evoluzione del servizio sanitario sono:
- Dematerializzazione delle ricette per farmaci e presidi terapeutici
- Distribuzione di farmaci e dei presidi a domicilio
- Semplificazione burocratica
- Sostegno psicologico
- Telemedicina
- Patient involvement
- Assistenza sociosanitaria e domiciliare e medicina del territorio
- Reti di patologia
- Care management
Le associazioni dei pazienti: il loro ruolo in epoca COVIDQuesto elenco non nasce a caso, perché già nella fase più acuta dell’epidemia il ruolo delle Associazioni dei pazienti aveva assunto particolare rilevanza, grazie alle loro azioni a sostegno dei pazienti. Nel periodo tra Marzo e Aprile 2020 sempre ALTEMS, attraverso il PAL, ha svolto un’indagine nazionale sul loro lavoro. Ne è nato un catalogo delle 102 principali azioni condotte dalle 45 associazioni analizzate. Dall’elenco delle tipologie di azione emerge una notevole innovatività che mette l’uso del web, la digitalizzazione dei servizi e l’informatizzazione dei percorsi di cura tra le attività più gettonate. Di seguito le principali aree di intervento delle Associazioni di pazienti durante l’emergenza Covid:
- Informazione e Comunicazione: servizi inerenti alle informazioni sui siti o con campagne social per informare i propri associati.
- Realizzazione di web-conference: servizi che riguardano l’ascolto dei propri volontari attraverso l’utilizzo di piattaforme per la comunicazione digitale.
- Digitalizzazione dei servizi ai pazienti: servizi associativi che in precedenza venivano erogati in presenza ma anche attività di supporto per i servizi sanitari, ad esempio il teleconsulto.
- Redazione di documenti di sintesi: servizi di reportistica, traduzione e semplificazione di evidenze redatte dalle società scientifiche di riferimento.
- Formazione a casa: servizi di webinar con esperti scientifici o condivisione di webinar di interesse per i propri associati.
- Fundraising: attività di raccolta fondi per la gestione dell’emergenza a supporto dei propri associati.
- Interventi istituzionali: azioni di advocacy messe in campo dalle associazioni pazienti per far fronte all’emergenza, attraverso la sensibilizzazione delle istituzioni per l’erogazione di alcuni servizi utili per la gestione della propria patologia.
- Supporto alla creazione e consegna mascherine e altri DPI: servizi di supporto sul territorio per la consegna di mascherine o altri DPI ed il supporto alla creazione di mascherine.
- Raccolta dati: supporto alle piattaforme attivate dalle società scientifiche o dagli enti istituzionali di ricerca per le indagini sulle patologie in questo contesto di emergenza.
- Consegna farmaci: attività di supporto per la consegna di farmaci ai propri associati.
Molte associazioni hanno svolto indagini per poter quantificare l’impatto dell’emergenza COVID 19 sulle prestazioni erogate dal SSN, sull’assistenza ai pazienti e sulla qualità della vita di pazienti e caregiver. Da questo lavoro è emerso un quadro allarmante, poi ulteriormente aggravato dal protrarsi dell’emergenza:
- sospensione delle cure per 9 pazienti su 10 con malattia rara (fonte: Rare Barometer EURORDIS);
- sospensione dei programmi di screening mammografico di I livello (fonte: Europa Donna);
- diagnosi e biopsie dimezzate del 52% per malati oncologici, ritardi negli interventi chirurgici per il 64%, visite pazienti/settimana diminuite del 57% (fonte: FAVO: XV Giornata Nazionale del Malato Oncologico);
- funzionamento ridotto del 91% dei centri per Sclerosi Multipla, problemi di accesso alle terapie farmacologiche per il 40% dei pazienti con SM, interruzione della riabilitazione per il 70% dei pazienti con SM (fonte: AISM);
- cancellazione improvvisa di visite ed esami programmati e un senso di abbandono e di incertezza dei pazienti “ordinari” (fonte: XVIII Rapporto nazionale di Cittadinanzattiva sulle politiche della cronicità);
- 2 malati su 10 con tumori del sangue hanno deciso di lasciare il percorso di cura per la paura (fonte: AIL, 2020).
Sono particolarmente drammatici i dati che emergono dalla survey “Le patologie reumatologiche e Covid-19”, () realizzata dall’Osservatorio dell’Associazione nazionale Persone con Malattie Reumatologiche e Rare (APMARR), in collaborazione con Helaglobe: tre pazienti su quattro (76%) hanno dovuto rimandare visite specialistiche e di controllo legate nella quasi totalità dei casi (88%) alla patologia. Addirittura, quasi uno su 4 (22%) pensa che non tornerà mai più sereno come prima dell’arrivo della pandemia.Non è solo il COVID a spingere verso una forte innovazione assistenziale. L’evoluzione in atto della dinamica demografica con una quota sempre crescente di persone con patologie croniche e rare, rendono necessario ridisegnare un sistema organizzativo della rete di servizi, soprattutto nell’ottica di rafforzare la prossimità e limitare gli spostamenti non necessari dei pazienti fragili per un’assistenza sempre più territoriale e domiciliare. In questo scenario risulta evidente, anche partendo dal punto di vista dei pazienti, l’urgenza di utilizzare la telemedicina quale supporto per far rimanere il paziente a casa con la dovuta e necessaria assistenza, con impatto positivo anche economico sul SSN.Le risposte e gli esempi positiviDopo un primo periodo di indicazioni frammentarie da parte delle Regioni, alla fine del 2020 sono state definite dal Ministero della Salute le “Indicazioni per l’erogazione di prestazioni in telemedicina” (), approvate dalla Conferenza Stato-Regioni il 17.12.2020, che rappresentano un quadro organico sia dal punto di vista delle modalità operative da seguire che dal punto di vista della rendicontazione. In questo testo vengono accolte molte delle richieste espresse dalle stesse associazioni, utili allo sviluppo di tale pratica. In particolare:
- La “telemedicina” comprende diverse attività, ognuna con propri requisiti e specificità: televisita, teleconsulto, teleconsulenza, teleassistenza, telerefertazione, triage;
- sono erogabili in telemedicina tutte le visite che non richiedano un contatto diretto con il paziente (la prima visita è quindi sempre in presenza);
- nelle televisite il collegamento deve avvenire in tempo reale consentendo di vedere il paziente, interagire con esso, scambiare documenti, dati clinici, referti medici, immagini, audio-video (le televisite non possono consistere in sole videochiamate o nel solo scambio di documenti);
- le tariffe delle televisite sono analoghe a quelle in presenza.
Gli ostacoli da superareSe esiste quindi questa disponibilità e questa spinta verso la telemedicina da parte di chi ne è destinatario, gli ostacoli da superare per renderla più user friendly non sono pochi. Sono stati presentati i primi risultati di una survey () condotta dall’Osservatorio ALTEMS sulla telemedicina operativa, che ha preso in esame 128 aziende su tutto il territorio nazionale. Tra i dati raccolti ce ne sono alcuni che riguardano proprio il rapporto tra telemedicina e mondo dei pazienti (figura 3) e l’eccessiva sottovalutazione del ruolo di quest’ultimi: essi ci parlano di scarsa informazione e di difficoltà nell’uso dei sistemi e dei dispositivi, in una situazione in cui un ruolo rilevante lo esercitano i caregiver (48%), che forse dovrebbe essere uno dei soggetti da coinvolgere maggiormente. La stessa indagine poi rileva che solo nel 18% dei casi sono state coinvolte le associazioni dei pazienti relative alla patologia trattata. “Inoltre - citando direttamente l’indagine - solo il 28% delle soluzioni descritte prevede la disponibilità di una app per il paziente, e solo nell’11% dei casi questa app ha anche funzionalità di formazione ed informazione sull’accesso al servizio. Questo rappresenta senz’altro un fattore di difficoltà per il paziente, considerato che lo smartphone rappresenta lo strumento più utilizzato (oltre il 70%) dai pazienti stessi” (cfr. l’articolo “Telemedicina Subito” sul numero 3-2020 di Progettare per la Sanità).In conclusione, si può affermare che siamo di fronte ad una strada percorribile, addirittura auspicata dai pazienti, ma che non diventerà tale se non si rispetteranno alcune regole di base. Esse sono quelle indicate dalle linee guida nazionali, ma anche suggerite dalle associazioni dei pazienti, come si è visto nel caso dell’HIV. Soprattutto non diventerà una strada praticata se le aziende sanitarie non capiranno che, oltre a migliorare la propria organizzazione interna, devono anche coinvolgere i pazienti mettendoli nelle condizioni di conoscere, capire e auspicare l’uso della telemedicina, informandoli, dando loro gli strumenti più consoni, facendosi supportare dalle associazioni, rispettando le loro esigenze. Potrebbe sembrare una frase fatta, ma la battaglia per l’uso della telemedicina o si vince tutti insieme o non si vince. Fortunatamente le premesse ci dicono che si tratta di un obiettivo raggiungibile.