di Maurizio Pedrini, giornalista di settore e Direttore tecnico rivista Dimensione PulitoOgni anno in Italia, nei nosocomi, muoiono 11mila persone per infezioni da antibiotico resistenza ed entro il 2050 il numero dei deceduti si attesterà sulle 450mila unità, con un costo complessivo per la comunità stimato attorno ai 12 miliardi di euro. ANIPIO, Società Scientifica Specialisti del Rischio Infettivo, che rappresenta gli infermieri italiani specialisti del settore (ISRI) ha fatto i conti: da un recente censimento emerge che il nostro Paese ha bisogno di un numero assai maggiore di queste preziose figure, le cui competenze devono essere rafforzate e diffuse sul territorio. La “lezione” della pandemia dovrebbe perciò fungere da stimolo alle istituzioni e al Governo per far compiere un “salto di qualità” agli ospedali e alle strutture sanitarie investendo maggiormente in questa direzione, rafforzando il ruolo degli addetti al servizio, che ogni giorno sono chiamati ad interfacciarsi con gli specialisti delle imprese di pulizia, chiamate a svolgere i delicatissimi interventi di igienizzazione e sanificazione nelle strutture ospedaliere e nelle RSA. Abbiamo chiesto alla dottoressa Maria Mongardi, presidente di ANIPIO, di rispondere al alcune domande proprio per focalizzare l’attenzione su come mettere a frutto gli insegnamenti forniti dal difficile periodo dell’emergenza sanitaria, che ha visto in prima fila medici, infermieri e operatori delle pulizie, accomunati da una preziosa alleanza e uniti nell’improbo sforzo di combattere il virus del SARS CoV 2 .Innanzitutto, quali sono i compiti specifici che l’infermiere specialista del rischio infettivo è chiamato ad assolvere?“Nell’ambito della prevenzione, l’infermiere specialista del rischio infettivo ha il compito di promuovere le buone pratiche, come ad esempio la corretta gestione di una ferita chirurgica, l’utilizzo appropriato dei dispositivi di protezione, il rispetto delle norme di igiene sia individuali che collettive. La seconda competenza dell’infermiere specializzato è il controllo, ovvero il compito di monitorare che siano rispettati tutti i protocolli e le direttive emanate in materia, sia a livello centrale che nelle singole strutture. Attraverso la sorveglianza, la terza competenza necessaria – aggiunge Mongardi – sarà possibile raccogliere i dati epidemiologici relativi ai singoli casi di infezione verificatisi in ogni struttura. Gli infermieri specialisti in rischio infettivo, poi, hanno il compito di formare sia pazienti che sanitari. Acquisendo competenze di management, infine, l’infermiere specializzato può gestire la collaborazione multidisciplinare tra tutti i sanitari che rientrano nella gestione del rischio infettivo, dall’infettivologo, al microbiologo, fino al chirurgo e altri operatori sanitari e socio sanitari”.Il problema del cosiddetto rischio infettivo nelle strutture nosocomiali è molto serio? “Direi senz’altro di sì. Le infezioni correlate all’assistenza sono definite un problema di sanità pubblica, il recente studio di prevalenza europeo condotto in 30 paesi e 1000 ospedali ha rilevato che, su 18 pazienti ricoverati in ospedale uno contrae almeno una di queste infezioni. Ancora, l’European Center Disease Control (ECDC) nel recente rapporto europeo ci mostra che l’Italia, dopo la Grecia, è il paese con il più elevato fenomeno di microrganismi multi resistenti agli antibiotici carbapenemi, classe di antibiotici ad ampio spettro d’azione. Il recente Report sulla resistenza antimicrobica OMS riporta: la resistenza antimicrobica “rappresenta un problema talmente serio da minacciare il sapere della medicina moderna”. Keiji Fukuda (OMS) dichiara che è necessario un intervento urgente e il paziente, gli operatori sanitari, i politici e l’industria insieme possono affrontare meglio il fenomeno dei microrganismi antibiotico resistenti”. A prescindere dall’emergenza SARS CoV 2, possiamo comunque affermare che nelle strutture nosocomiali vi sia un’adeguata attenzione in merito alle misure di igiene in generale, specialmente a quelle che riguardano la pulizia e disinfezione delle superfici ambientali?“Negli ultimi decenni, a livello nazionale la gestione delle pulizie degli ambienti ospedalieri e delle strutture socio sanitarie ha subito un cambiamento organizzativo importante. Più precisamente, mentre prima tali attività erano svolte da personale dipendente interno alla struttura, ora sono appaltate ad aziende specializzate. Tutto ciò ha portato, nella maggioranza dei casi, ad elevare il livello di pulizia e migliorare il rapporto costo-beneficio. Il continuo aumento delle infezioni dovute a microrganismi multi resistenti ci pone davanti ad una nuova sfida nell’ambito delle pulizie ambientali. Oggi sappiamo che la sopravvivenza di alcuni microrganismi sulle superfici può arrivare ad essere di alcuni mesi. Infatti un paziente ricoverato in un ambiente dove precedentemente è stato ricoverato un degente con infezione o colonizzazione di microrganismi multiresistenti è sottoposto a un rischio di contrarre un’infezione che aumenta rispettivamente di 3,5 volte per l’Acinetobacter Baumani, di 2,5 per il Clostridium Difficile, di 1,75 per l’Enterococco Vancomicino Resistente e di 2 per lo Pseudomonas Aeruginosa. Un altro studio canadese (Zoutman DE,2014) sostiene che un lavoro sinergico e fianco a fianco tra le organizzazioni interne e le aziende di pulizia possa aiutare a controllare le infezioni dovute a microrganismi antibiotico resistenti. Per questa ragione ANIPIO dedica grande attenzione all’aspetto dell’igiene ambientale, grazie soprattutto all’aggiornamento costante del nostro team per mezzo della letteratura sul tema. L’obiettivo è quello di arrivare a effettuare ricerche ad hoc e a collaborare con altre Società Scientifiche per condurre indagini nazionali allo scopo di contribuire ad aumentare il livello di conoscenza del problema”.