ISSA Pulire, la fiera della ripresa e del rilancio del settore

Tutto è pronto, nel quartiere espositivo di Milano Rho per dare il via al primo appuntamento “meneghino” di ISSA PULIRE: la ventiseiesima edizione della fiera internazionale dedicata alla pulizia e sanificazione professionale si annuncia ricca di aspettative e carica di promesse da mantenere. Un impegno che gli organizzatori intendono mantenere innanzitutto con AFIDAMP, l’Associazione che ha voluto e creato la manifestazione per dare visibilità e lustro alla produzione Made in Italy di macchine, attrezzature e prodotti per il professional cleaning. Alla vigilia dell’inaugurazione dell’attesissimo evento, abbiamo incontrato Giuseppe Riello, presidente dell’Associazione, per un’intervista a tutto campo.La fiera ISSA PULIRE approda a Milano, con tante legittime speranze di sviluppo e qualche incognita. Che ne pensa?“Certamente, dopo tanti anni di crescita costante a Verona, spostare la fiera a Milano è un atto coraggioso, ma responsabile, che ha una sua logica. L’obiettivo, senz’altro legittimo, è quello di compiere un ulteriore salto di qualità, rendendola ancor più internazionale e appetibile agli espositori e visitatori provenienti dall’estero. Un’apertura, direi, a tutto tondo verso nuovi mercati e Paesi che, certamente, costituiscono un bacino economico di riferimento per le nostre produzioni. La scelta che AFIDAMP e ISSA PULIRE Network hanno maturato insieme non è stata facile né indolore, ma siamo convinti che questa fosse la strada migliore da seguire.”Quindi, nessun diktat, ma condivisione tra le due realtà protagoniste della manifestazione, in piena sintonia, per sviluppare assieme una vocazione sempre più internazionale della rassegna?“Certamente. Ogni passo è stato ponderato e compiuto assieme, sviluppando la massima sinergia, in funzione di questo obiettivo. Alla fiera saranno presenti, per la prima volta, alcuni espositori provenienti dagli USA e dall’Asia, provenienti in particolare dalla Cina. È vero che i produttori cinesi fanno concorrenza a quelli italiani, ma in realtà li stimolano a innovare e inventare sempre nuovi prodotti. Nelle nostre intenzioni, questa edizione di Milano dovrebbe essere più grande e importante di quelle che l’hanno preceduta. Insomma, una fiera capace di lasciare il segno, anche perché non dobbiamo dimenticare che usciamo da anni assai difficili: l’edizione precedente si è svolta nel segno della pandemia. Quella del 2023 dovrà essere la fiera della ripresa e del rilancio del nostro settore sotto tutti i punti di vista. Infine, il sogno nel cassetto è il desiderio ambizioso di rendere la nostra manifestazione internazionale, di cui siamo orgogliosi, sempre più concorrenziale con la fiera di Amsterdam.”Nel post-pandemia, qual è lo stato di salute del settore che la sua Associazione rappresenta?“Come già ho avuto modo di dire altre volte, per il nostro comparto economico la pandemia ha avuto anche un aspetto senz’altro positivo perché ha generato un’attenzione maggiore nei nostri confronti da parte dell’opinione pubblica italiana. Ciò è avvenuto specialmente in relazione alla qualità delle pulizie professionali, al modo stesso in cui vengono realizzati i nostri prodotti e le attività di sanificazione. Da troppo tempo, infatti, il nostro era considerato un settore abbastanza povero, comunque di secondo livello sotto il profilo delle procedure. Del resto, è un dato di fatto che – in tempo di crisi – il primo costo tagliato dalle aziende è proprio quello relativo alle pulizie. In questi difficili anni si è compreso, ad esempio, come la sanificazione rappresenti un valore assoluto, in termini di prevenzione e sicurezza, al quale non si può rinunciare. Ci siamo arricchiti in termini di credibilità e affidabilità rispetto al passato, il che - come produttori - ci investe di ulteriori compiti e responsabilità, anche per la promozione della cultura del pulito, che rappresenta uno dei motivi fondamentali per cui AFIDAMP è nata. Certo, i problemi che abbiamo dovuto affrontare negli ultimi anni, oltre al Covid-19, sono stati davvero molteplici e complessi: la guerra in Ucraina e le sanzioni imposte alla Russia, solo per fare un esempio, hanno comportato il blocco totale delle esportazioni in quel Paese, dove molte nostre aziende avevano delle filiali e dei dealers organizzati. Per non parlare dell’aumento del costo delle materie prime, dell’energia, del prezzo del gasolio e del petrolio, con pesanti ripercussioni sulla produzione e sui trasporti. Direi che siamo stati bravi a reagire a tutti questi problemi, mantenendo - sia pure con difficoltà - i nostri assetti produttivi e occupazionali.”Dunque, un panorama a tinte chiaro-scure, dove però prevalgono gli elementi positivi?“Direi di sì per tutte le ragioni che ho esposto in precedenza. Però non dobbiamo sottovalutare le tante questioni ancora da affrontare sul tappeto. A fronte di una crescita consistente dell’attività commerciale, quindi delle vendite, abbiamo indubbiamente assistito ad una certa riduzione dei margini di profitto da parte delle industrie del nostro settore, che hanno sicuramente penato molto. L’export ha subito una certa contrazione, ma dopo una fase di grande difficoltà, direi che oggi assistiamo ad una relativa stabilizzazione dei mercati, il che fa ben sperare per il futuro.”In prospettiva, ritiene che il Made in Italy sia ancora competitivo nel panorama internazionale, come lo era in passato?“Le rispondo che lo siamo ancora, decisamente, ma - guardando al futuro - le industrie negli anni a venire saranno chiamate a compiere notevoli investimenti economici per affrontare una concorrenza sempre più agguerrita e le esigenze emergenti di mercati sempre più attenti e selettivi. In particolare questo sforzo dovrà essere mirato verso la produzione ecologica e il cosiddetto green cleaning. Ormai, le normative, i grossi players internazionali e la domanda stessa della clientela impongono produzioni che impieghino al meglio plastiche e strumenti riciclati. Nell’ultimo decennio la sensibilità ecologica è cresciuta enormemente e lo sforzo richiesto ai nostri produttori per coniugare pulizia e salvaguardia dell’ambiente è divenuto sempre più concreto e pressante. L’acronimo ESG: Environmental, Sustainability, Governance appare destinato ad essere sempre più popolare e sta caratterizzando le strategie e la comunicazione di aziende e organizzazioni di tanti e diversi settori, compreso il nostro. L’imperativo categorico anche per noi, è quello dell’economia circolare che postula il recupero e riciclo delle acque e dei materiali. Tutto questo, però, nell’ottica della cosiddetta transizione ecologica ha un costo e dovremo al più presto capire quante aziende all’interno del nostro comparto potranno compiere questo passaggio epocale. Certamente mi sento di poter affermare che questa sarà la vera, grande sfida che dovremo affrontare in un ormai prossimo, imminente futuro. Se vorremo andare a vendere i nostri prodotti sul mercato statunitense o su quelli del Nord Europa, particolarmente sensibili ai temi ecologici, sarà obbligatorio imboccare questa strada.”Si sente parlare molto, in questi giorni della difficoltà del sistema Italia di rispettare gli impegni assunti verso l’Europa con la Next Generation EU e il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. La non capacità di spesa riguarda anche il nostro settore?“Direi solo indirettamente, perché non investe in maniera rilevante le nostre aziende. Però il problema ci preoccupa, e non poco. Basti pensare al settore delle costruzioni: gli investimenti in questa direzione possono e devono rappresentare un fattore di crescita per il comparto del professional cleaning, con enormi quantità di superfici da lavare, spazzare, igienizzare e sanificare grazie all’impiego della pulizia meccanizzata. Siamo di fronte, peraltro, ad un problema tipicamente italiano con il quale anche noi industriali del settore dobbiamo fare ogni giorno i conti: quello della burocrazia. Basti semplicemente pensare che il tempo necessario a costruire una casa da noi è il triplo di quello che serve in Germania o in Inghilterra. Nei Paesi più evoluti o nei Paesi Arabi, per esempio, un nuovo edificio viene realizzato mediamente in circa un anno e mezzo, ovvero nell’arco di tempo in cui in Italia si riesce a malapena ad eseguire una ristrutturazione. Mi auguro che le necessità di velocizzare i tempi poste dal PNRR servano a imporre una riflessione al Governo e che si riesca a mettere un freno al dominio della burocrazia, modificando regole divenute ormai troppo oppressive.”Maurizio Pedrini

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