Un pavimento nel pavimento. E’ questa la straordinaria scoperta di un consulente tecnico che ha toccato con mano, e restaurato, un pavimento in legno di quasi due secoli
C’ è un segreto nascosto sotto a un pavimento in legno da rigenerare: una pavimentazione di legno risalente all’anno 1870, scoperta per caso dopo che alcuni elementi lignei del pavimento soprastante erano stati asportati.La proprietà aveva richiesto un intervento rigenerativo, “classico”, di ripulitura meccanica della superficie in legno di un vano di uno dei tanti appartamenti all’interno di uno splendido palazzo storico fiorentino, in piazza San Firenze. Il palazzo - rimasto incompleto per diversi secoli - su via dei Gondi era affiancato da un antico edificio della famiglia degli Asini, demolito verso il 1870 per allargare la strada che fiancheggiava Palazzo Vecchio. In questa occasione è stato ingrandito anche Palazzo Gondi, con la creazione del terzo portale e la costruzione di una nuova porzione di edificio. Ed è proprio in questa “nuova” porzione di edificio si trova la pavimentazione in legno che abbiamo trovato sotto il pavimento in parquet. Un prefinito vecchio due secoli Non è azzardato affermare che ci siamo trovati di fronte a una delle primissime pavimentazioni stratificate (già un secolo prima che venisse inventata la tipologia “prefinita”, a Firenze esisteva già lo stratificato), infatti, come possiamo vedere dalle immagini, la pavimentazione è così costituita: • pannellatura in Abete con elementi incrociati; • lamelle in legno nobile di circa un cm di spessore posate a disegno; • pannelli dotati perimetralmente di incastro femmina (fatto a mano); • supporto di posa costituito da una intelaiatura di travetti, sempre in Abete, posti a sezioni incrociate. Come si vede dalle immagini, mentre veniva asportata la pavimentazione di legno posta in opera, veniva alla luce la pavimentazione preesistente, che mostrava evidenti segni di degrado dovuti alla inevitabile usura del tempo, nonché alla trascuratezza della manutenzione e a qualche intervento di restauro “improvvisato”. In ogni caso il pavimento emanava un certo fascino: non capita tutti i giorni di poter toccare con mano un manufatto ligneo di quasi due secoli fa, fatto interamente a mano. Alcune parti della pavimentazione erano praticamente sfondate, in altre zone nei pannelli mancavano porzioni più o meno grandi della struttura in legno nobile (composta da diverse specie legnose che, assemblate, formavano un particolare disegno). I legni utilizzati per la costruzione della pavimentazione sono il Noce, l’Acero, la Rovere e, come detto, l’Abete per il sottostrato, oltre che per la struttura portante; sottolineo il verbo “costruire”, infatti all’epoca le pavimentazioni in legno, rare, erano vere e proprie costruzioni fatte a mano da validi ed esperti pavimentatori. L’intervento, passo dopo passo Dopo aver asportato l’intera pavimentazione in legno posta sopra l’antico parquet, sono stati asportati con cura i singoli pannelli, partendo dalle fasce esterne di rigiro, sempre in Rovere e Noce, togliendo poi una a una le singole pannellature, fermate tra di loro con strisce di legno di Abete e con chiodi alla struttura sottostante. Una volta tolte le pannellature, si è potuta osservare nella sua completa superficie la struttura sottostante portante, è stato così possibile valutarne lo stato di tenuta e individuare i punti che avevano necessità di interventi strutturali. I singoli pannelli dell’antico parquet sono stati preventivamente numerati, insieme alle fasce (è fondamentale per la successiva fase di reinserimento potere ritrovare la posizione originaria di ogni pannello). Dopo la numerazione, i pannelli sono stati trasferiti in laboratorio dove è iniziata la vera e propria fase di restauro conservativo; qui ogni singolo pannello è stato esaminato per definirne i danni (i legni mancanti o da restaurare, il grado di pulizia) e per valutare gli interventi necessari. Dopo la fase di catalogazione dello stato strutturale e di valutazione degli interventi necessari, è iniziato il restauro vero e proprio, con la fase di lavaggio della superficie mediante appositi prodotti, non aggressivi, che eliminano le tracce di adesivo utilizzato per la posa del parquet sovrammesso, lo sporco ultracentenario e i residui di vecchie stesure di cera. Naturalmente sono stati necessari svariati passaggi a mano del prodotto, con utilizzo di paglietta in lana metallica, utensili modificati al momento per il particolare impiego, insomma, tutto il necessario per asportare la quantità di sporco superficiale senza danneggiare il legno e soprattutto… molto “olio di gomito”. Dopo la fase di pulizia superficiale di ogni singolo pannello, gli stessi sono stati lasciati all’aria perché si asciugassero lentamente, senza forzature. Dopo tre/quattro di questi passaggi i pannelli si possono ritenere puliti. Quando ci vuole esperienza… Dopo la fase di pulizia, è iniziata quella di revisione della struttura portante, molto importante perché si va a incidere proprio sul singolo pannello e se ne determina la durata nel tempo. Non si trattava soltanto di reinserire dei nuovi pezzi di legno, alcuni pannelli presentavano infatti delle forti arcuature, quindi è stato necessario “raddrizzarli”, senza romperli, riportandoli all’antica planarità. E qui entrano in gioco l’esperienza e le conoscenze in materia dei vecchi artigiani. Nelle fotografie si può osservare la particolare struttura allestita per ritrovare la planarità del singolo pannello, ricorrendo non solo ai morsetti da falegnameria, ma anche a particolari travetti appositamente curvati in maniera da ottenere una forza contraria alla direzione che il legno ha assunto. A questo punto è stata la volta del reinserimento dei pezzetti mancanti: si esegue una cernita dei pezzi, si cercano i legni, si sagomano i pezzi necessari. Si passa poi al vero e proprio inserimento nel disegno: ogni singolo pezzetto è stato incollato con adesivo a basso impatto ambientale, dopo averlo presentato e provato. Queste fasi comportano un impegno notevole di tempo, dal momento che ogni singolo pezzetto di legno viene ricavato direttamente da piante già tagliate (come ad esempio il Noce) appositamente al fine di avere una tonalità di colore quanto più possibile prossima all’originale. Concluse tutte le fasi del restauro degli antichi pannelli di legno in laboratorio e dopo avere rinforzato con interventi strutturali (come l’inserimento di rompitratto) l’intelaiatura portante del solaio, ecco che inizia la nuova posa in opera del pavimento “rigenerato”. I singoli pannelli, che erano stati numerati al momento dell’asportazione, hanno ricevuto un primo trattamento protettivo a base di sola cera d’api (interamente assorbita dal legno) e vengono quindi installati tenendo conto della numerazione progressiva. Nonostante la numerazione, il posizionamento non è automatico e nemmeno semplice come si potrebbe pensare: ogni quadro deve essere prima “visualizzato” insieme a quello attiguo, poi, dopo aver controllato il posizionamento sull’intelaiatura e verificato che il disegno presente sullo strato nobile sia continuo, si può procedere al bloccaggio al piano sottostante. Questa operazione, che - considerata la dimensione dei pannelli - deve essere condotta da almeno due persone, richiede preparazione, colpo d’occhio e maestria nell’uso di utensili come il pialletto, la spondarola (tanto per citarne qualcuno…), utensili più in uso nella falegnameria che nel settore dei pavimenti in legno. A questo proposito, ritengo sia utile ricordare che il restauro di una pavimentazione di legno è una vera e propria arte che non si addice a personale improvvisato e sprovvisto di esperienza specifica; occorre essere sia dei bravi parchettisti sia dei buoni falegnami, avvezzi all’uso di utensili a mano. Il quadro si compone Tornando al nostro pavimento, piano piano i singoli pannelli hanno ripreso il loro posto originario, all’interno di quella sala dove sono stati posti in opera la prima volta ben oltre un secolo e mezzo fa. In ogni pannello è stato inserito un nuovo “maschio” (un listello di abete di idoneo spessore e dimensione), che è andato a incastrarsi con il lato del pannello attiguo (i pannelli sono dotati su tutti e quattro i lati di una lavorazione “a femmina”). Ogni pannello, dopo essere stato incastrato con quello accanto, è stato provato nella propria stabilità complanare, quindi sono stati inseriti dei “chiodi alla traditora”, termine in voga presso i parchettisti di un tempo, in modo da essere completamente bloccati alla intelaiatura sottostante. Il tutto rigorosamente senza colla - come in effetti era stato fatto anche durante la prima posa in opera - e nel rispetto delle richieste della direzione lavori, che ha scelto di impostare il restauro tenendo conto delle tecniche e dei sistemi di lavoro dell’epoca, tecniche che hanno fatto di questo pavimento in legno uno dei manufatti più riusciti esistenti nei palazzi di quell’epoca. L’intera posa dei pannelli ha richiesto circa una settimana di tempo e il lavoro di due persone. Dal centro al perimetro Ultimata la posa dei pannelli, si è passati ai bordi laterali, dove è stata reinserita al proprio posto quella che è comunemente denominata fascia di rigiro con bindello. Il bindello è una tavola di Noce di notevoli dimensioni, trattata in maniera da risultare più scura, come tonalità di colore, rispetto all’effetto cromatico originario. Le fasce perimetrali sono costituite da tre tavole complessivamente, di diverse dimensioni in larghezza, alternando il legno di Noce con il Rovere così da avere, nell’intento del parchettista di due secoli fa, un effetto cromatico eccellente, che alterna il chiaro colore caldo del Rovere al contrasto scuro del Noce. Agli angoli, i punti di contatto fra le varie tavole erano tagliati con un’inclinazione di circa 45 gradi e così sono stati nuovamente riassemblati; sono stati necessari solo pochi ritocchi con strumenti a mano, a conferma della perfetta posa dei pannelli che costituiscono il campo centrale. Lateralmente non è stato posato uno zoccolo in legno di rifinitura, perché non esisteva neppure all’epoca; a lavori ultimati, toccherà a un abile gessista ricostruire quella che era la vecchia fascia di contorno, una cornice in gesso “particolarmente elaborata, con una finitura detta a “becco di civetta”, alta circa dodici centimetri e dipinta di bianco. I ritocchi a mano Ultimata la posa in opera dei pannelli e della fascia, compresa la rifinitura intorno al caminetto ornamentale (disegnato dal celebre architetto Sangallo), è iniziata la fase dei “ritocchi cromatici” a mano, ovvero l’inserimento, necessario, di nuovi elementi lignei all’interno della struttura. Questa operazione è molto importante, direi vitale per la riuscita finale dell’intera opera; in effetti, sebbene i nuovi elementi siano ricavati da legno della medesima specie degli originali, l’età del manufatto comporta inevitabilmente una diversa cromaticità. Come si svolge il lavoro? Un solo operatore prepara dello stucco miscelando la polvere di legno occorrente con sostanze esenti da solventi ricavate dalla liquefazione della coccoina. Lo stucco, ovvero il colore, viene preparato un poco per volta, in dosi chiaramente uguali, avvalendosi di misurini, per non avere problemi di diversità di colore alla fine dell’intervento. Questa operazione, condotta su ogni singolo pannello, rigorosamente a mano, mediante una piccola spatolina metallica, va ripetuta per ogni specie legnosa che richieda l’intervento. Il colore va preparato ogni volta per ogni specie, proprio per non creare problemi di alcun genere. L’operazione di stuccatura e “revisione cromatica” è stata condotta anche per la fascia laterale, sempre con la stessa metodologia. Una volta terminata l’operazione di stuccatura a mano, si è passati alla fase di asportazione dei residui di stucco in eccesso. Anche in questa caso, dal momento che non è possibile utilizzare macchine levigatrici - sempre nel rispetto dell’impostazione del restauro richiesta dalla direzione lavori - è stato fatto ricorso all’impiego di una macchina orbitale, la vecchia “planfix”, che lavora in maniera lenta, uniforme e delicata. La carta abrasiva impiegata è stata naturalmente molto fine, grana 120 e 150 alternate, incrociate più volte sull’intera superficie, fino all’asportazione di ogni residuo di stucco. Un’operazione lenta, condotta con attenzione, soffermandosi più volte su ogni punto per verificare la situazione della superficie del pavimento, il tutto, come si dice, “senza furia”. è stata poi la volta dell’aspirazione della polvere residua, per procedere infine all’ennesima revisione dei pannelli: tutti dovevano essere perfettamente al proprio posto, senza presentare alcuna anomalia. Tutta la superficie è stata ispezionata attentamente, fasce comprese, per assicurarsi che nessun particolare fosse sfuggito nelle varie fasi di lavoro: un piccolo tassello di legno non sostituito, una zona non stuccata, il distacco di qualche vecchio pezzetto di legno che, lo ricordiamo, ha oltre due secoli di vita! Un piccolo particolare tralasciato può essere determinante per l’esito finale dell’opera e compromettere l’intero ciclo di recupero. La finitura, un compromesso tra molte esigenze diverse Ecco che, piano piano, è giunto il momento della fase di finitura protettiva del pavimento, un passaggio delicato, soprattutto per quel che riguarda la scelta dei prodotti da impiegare. Chiaramente tutti i prodotti al solvente e all’acqua sono stati esclusi fin dall’inizio: all’epoca non esistevano certo prodotti filmogeni di alcun genere. La scelta è stata dettata, oltre che dai canoni di rispetto della procedura di recupero, anche dalle esigenze della proprietà la quale, ha chiesto di individuare una finitura che potesse essere mantenuta senza troppi problemi e che allo stesso momento fornisse sufficienti garanzie di protezione. Un problema non facile da risolvere. Unire praticità e massima protezione, rispettando al tempo stesso le prerogative del recupero non era un’esigenza da poco, l’esperienza dei maestri artigiani, sommata alla collaborazione di laboratori chimici, ha portato però all’individuazione di una finitura “su misura”. Chiaramente alcune “pretese moderne” della proprietà sono state ridotte ragionevolmente, ma poi ecco che con un composto di cere e olii di natura vegetale, senza metalli all’interno, opportunamente miscelati fra di loro, il problema è stato brillantemente risolto. Le cui dosi sono strettamente riservate, nonché gelosamente conservate dagli artigiani, insieme alla procedura di liquefazione appositamente approntata per questo pavimento. La miscela, una volta stesa, sprigionava un certo fascino, legato alla tonalità di colore dei diversi legni che, con una certa sorpresa, era come se fossero ritornati a una nuova vita; anche il pensiero di essere di fronte a un manufatto di quasi due secoli fa, fatto interamente a mano, non lasciava certo indifferenti. Un tuffo all’indietro Nelle fotografie è possibile osservare come la miscela di finitura protettiva viene passata sul pavimento: prima stesa con un pennello, poi “stracciata” immediatamente. Una miscela in grado di ridonare splendore ai legni: il disegno geometrico impresso sulla superficie riprende vita, interagendo immediatamente con tutto l’ambiente che circonda la stessa pavimentazione. Arazzi, quadri d’epoca, boiserie (che purtroppo non vediamo nelle foto), tutti pezzi di arredo d’epoca che fanno da contorno alla pavimentazione ritornata al proprio antico splendore; anche il panorama che si può osservare affacciandosi dalle finestre monumentali concorre a riportarci indietro nel tempo, facendoci ripensare a quando i signori dell’epoca camminavano sul pavimento in legno appena assemblato. Un’arte che non si improvvisa Se confrontiamo il risultato ottenuto dopo tutte le fasi del restauro con le fotografie relative al momento della scoperta del pavimento, se pensiamo che alcune parti della pavimentazione erano in pratica sfondate e in alcuni pannelli mancavano addirittura porzioni della struttura in legno nobile possiamo avere un’idea della portata dell’intervento. Il restauro, lo dicevamo, non è sicuramente un’arte che si improvvisa. Occorre un’esperienza diretta acquisita sul campo, una conoscenza dei legni utilizzati nel passato, uno studio delle tecniche di posa e una ricerca per reperire i prodotti da utilizzare per il ripristino di pavimentazioni che sono in effetti vere e proprie opere d’arte. Se pensiamo alle vecchie pavimentazioni in legno che esistono nelle antiche dimore in giro per il mondo, possiamo avere un’idea di quanto lavoro di restauro e di conservazione ci sia ancora da fare… A mano però e senza l’aiuto di laser o vernici!