L’Unione Europea sta promuovendo un nuovo modello di sviluppo: l’economia circolare, per cui non ci sarà più un fine vita dei prodotti, con conseguente conferimento in discarica, ma un riutilizzo costante e un riciclaggio consapevole delle materie prime impiegate, a salvaguardia del pianeta, dello sviluppo industriale, dell’occupazione, della competitività
“Nutrire il Pianeta, Energia per la Vita” è il tema al centro di Expo 2015. Un’affermazione forte, ambiziosa. Un obiettivo che rischia di rimanere senza speranza e trasformarsi in utopia, se non si adotteranno azioni radicali che diano al concetto di globalità un valore etico e pratico diverso da quello perseguito sinora e che, è evidente, ha prodotto questa necessità di ripensare la convivenza universale. A Expo si parla di cibo, nel suo significato di base. Ma il concetto di nutrimento è estensibile e, per mettere in condizioni il pianeta di tornare a essere produttore di cibo per gli uomini, e possibilmente per tutti gli uomini, occorre fornire proprio al pianeta il cibo necessario per ripristinare la sua energia, per consentirgli di vivere. Come? Rivedendo le politiche economiche e industriali che da sempre sono caratterizzate dalla linearità della loro logica e della loro produttività. Secondo l’economia lineare, infatti, i prodotti seguono un percorso unidirezionale, in base al quale vengono realizzati partendo dalla materia prima, vengono immessi sul mercato, utilizzati e, a fine vita, vengono smaltiti, ossia si trasformano in rifiuti. Così, la catena economica riprende daccapo, secondo il susseguirsi della fasi di estrazione-produzione-consumo-smaltimento, che crea lo schema dalla culla alla tomba. Solo nell’area OCSE, l’80% dei prodotti acquistati dal pubblico finisce la vita nelle discariche, nelle falde acquifere e negli inceneritori. Le conseguenze sono sotto gli occhi di tutti: aumento dei costi di produzione, riduzione dei margini di guadagno per i produttori, domanda in continua decrescita, volatilità estrema nei prezzi delle materie prime e, soprattutto, costi ambientali altissimi: effetto serra (con conseguenze dell’inquinamento sulla salute umana) e costi indiretti dovuti allo smaltimento dei rifiuti (con tutto ciò che ne consegue). Ne deriva, a livello planetario, uno spreco di risorse, che negli anni è accresciuto a ritmo esponenziale, tanto che ben presto (secondo molte organizzazioni ambientaliste non oltre il 2050) il pianeta rischia di non essere più capace di rigenerare in tempo utile le risorse. La situazione è seria e richiede cambiamenti radicali nella gestione delle risorse, delle materie prime e dei rifiuti. La situazione è talmente seria che la Commissione Europea, lo scorso luglio, ha lanciato la sfida a un cambiamento radicale verso un altro tipo di economia, quella “circolare” (Comunicazione della Commissione al Parlamento Europeo, al Consiglio, al Comitato Economico e Sociale Europeo e al Comitato delle Regioni - Verso un’economia circolare: programma per un’Europa a zero rifiuti /* COM/2014/0398 final). Insomma, dopo la green economy, la sostenibilità ambientale, la net economy, ora al centro delle politiche ambientali europee si va affermando il concetto di economia circolare, un modello economico che pone al centro la sostenibilità del sistema, per cui le stesse risorse che nell’economia lineare vengono consumate possono essere impiegate più volte, attraverso il riutilizzo e il riciclo, con conseguenti guadagni in efficienza. In poche parole, allo schema dalla culla alla tomba, si sostituisce lo schema dalla culla alla culla. Dalla culla alla culla La necessità di usare i materiali e l’energia in un modo più responsabile era stata già avanzata, agli inizi degli anni Ottanta, dal professor Walter Stahel, fondatore del Product-Life Institute, con sede a Ginevra, che promuove un minor consumo di risorse vergini e la creazione di posti di lavoro nel settore del riutilizzo. Stahel è inoltre visiting professor presso la University of Surrey, nel Regno Unito, nonché membro del gruppo di riflessione internazionale Club di Roma. Questa idea fu ripresa da Michael Braungart e William McDonough, che hanno delineato un sistema industriale non semplicemente efficiente, ma libero dai rifiuti. Partendo dalla considerazione che l’economia lineare produce molti più rifiuti di quanti siano ecologicamente sostenibili e che, invece, la biosfera è strutturata su cicli circolari, dove i rifiuti di una specie forniscono il cibo per un’altra, i due studiosi hanno elaborato un modello in cui tutti i materiali appartengono a due diverse categorie: nutrienti tecnici o biologici. I nutrienti tecnici sono i materiali sintetici non tossici e non pericolosi, privi di effetti negativi sull’ambiente naturale; possono essere impiegati in cicli continui, nello stesso prodotto e senza perdere la loro integrità o qualità. Tale operazione consente il loro riutilizzo più volte nel tempo di vita, impedendo che degradino e che diventino rifiuti. I nutrienti biologici sono materiali organici che, una volta usati, possono essere lasciati in un qualsiasi ambiente naturale perché si decompongono nel suolo, fornendo nutrimento per piccole forme di vita senza danneggiare l’ambiente. Insomma, secondo Braungart e MxDonough, per difenderci dall’esaurimento delle risorse, l’unico modo è riutilizzare sempre gli stessi materiali. Nell’economia circolare, nulla si crea e nulla (o quasi) si distrugge. La filiera produttiva deve essere pensata “dalla clla alla culla”, cradle to cradle. L’Europa indica la direzione In questa direzione, ossia verso l’azzeramento della produzione dei rifiuti, va la Comunicazione della Commissione al Parlamento Europeo (al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni), dello scorso luglio. L’obiettivo de Programma è quello di indirizzare l’Europa verso un’economia circolare in sintonia con la strategia Europa 2020 (la strategia decennale per la crescita e l’occupazione che l’Unione europea ha varato nel 2010), per una crescita intelligente e sostenibile, che prevede un utilizzo intelligente delle risorse anche e soprattutto dei rifiuti, puntando sul riutilizzo di un prodotto che è arrivato alla fine del suo ciclo di vita e facendo sì che quel prodotto resti all’interno del sistema economico, così da creare nuovo valore. «Se vogliamo essere competitivi dobbiamo trarre il massimo dalle nostre risorse, reimmettendole nel ciclo produttivo invece di collocarle in discarica come rifiuti», ha spiegato Janez Potočnik, commissario europeo per l’Ambiente, presentando gli obiettivi UE sul riciclaggio. Ma, secondo Walter Stahel, non bisogna identificare l’economia circolare solo con il riciclaggio dei rifiuti, perché tra tutte le attività che caratterizzano questo processo economico, è quella meno sostenibile in termini di efficienza delle risorse e di redditività. Rispetto al riciclaggio è meglio ritenere prioritario il riutilizzo dei materiali, seguito dal prolungamento della vita utile dei prodotti e dalla preparazione per il riutilizzo. Nuovo modello di business Ne deriverebbero non solo benefici ambientali, dal momento che l’economia circolare punta all’uso delle energie rinnovabili, eliminando anche l’impiego di sostanze chimiche tossiche, che compromettono il riuso dei materiali. Uno studio commissionato a McKinsey dalla Ellen MacArthur Foundation spiega che, includendo il concetto di rigenerazione e di riprsitino delle risorse fin dalle fasi della progettazione di prodotti, processi produttivi e modelli di business, si avrebbero notevoli vantaggi economici. Per esempio, i costi di produzione di un telefono cellulare potrebbero essere ridotti del 50% se solo le aziende nella progettazione pensassero a rendere più facile disassemblare l’apparecchio a fine vita e offrissero incentivi per la riconsegna. Altro esempio: se le lavatrici fossero date in leasing, anziché acquistate, i consumatori potrebbero risparmiare circa un terzo per ogni ciclo di lavaggio e i produttori (divenuti gestori del servizio) guadagnerebbero circa un terzo in più. Questo modello di business, infatti, diminuerebbe l’obsolescenza programmata e l’utente, anziché cambiare in vent’anni cinque lavatrici dalla vita utile di duemila lavaggi, ne prenderebbe a leasing una sola che dura 10.000 lavaggi, facendo risparmiare 180 kg di acciaio e oltre 2,5 tonnellate di CO2. Se l’industria europea usasse le risorse naturali in maniera più efficiente, e andasse in questa direzione, potrebbe risparmiare fino a circa 630 miliardi di dollari all’anno, pari a circa il 23% di quello che le aziende spendono in materie prime e circa il 3-3,9% del PIL europeo del 2010. Un risultato notevole, se si pensa che il sistema economico mondiale attualmente “consuma” 65 miliardi di tonnellate di materie prime all’anno, e se non si cambierà, nel 2020 ne assorbirà 82, con la conseguenza che il prezzo di queste risorse non farà che aumentare. Gli incentivi a produrre su modello di un’economia circolare sono essenzialmente due: un risparmio sui costi di produzione e l’acquisizione di un vantaggio competitivo, in quanto un consumatore preferisce acquistare un prodotto di consumo circolare piuttosto che lineare. Prolungare l’uso produttivo dei materiali, riutilizzarli e aumentarne l’efficienza servirebbe a rafforzare la competitività, a ridurre l’impatto ambientale e le emissioni di gas e a creare nuovi posti di lavoro. L’Unione Europea ha stimato che solo con il riciclaggio se ne potrebbero creare 580.000. L’Italia che fa? Ecco perché la Commissione Europea chiede una politica forte per ridurre la dipendenza da materie prime, in modo che vetro, metalli, carta, plastica, gomma, legno e altri rifiuti riciclabili vengano reimmessi a prezzi competitivi nell’economia, in qualità di materie prime secondarie. Nell’Unione Europea alcuni paesi, come Germania, Francia, Olanda, Regno Unito, sono già attivi nelle sviluppo di iniziative di economia circolare. In Italia, la Commissione Ambiente del Senato ha approvato all’unanimità una risoluzione sulla comunicazione della Commissone Europea, e il ministro dell’Ambiente, Galletti, ha annunciato che nel Green Act, di prossima presentazione da parte del Governo, sono previste azioni in favore dell’adesione a questo nuovo modello di economia. Secondo Symbola, la Fondazione per le Qualità Italiane, l’economia circolare dovrà essere la nuova frontiera del Made in Italy.